Omelia proposta dal vescovo Egidio nella Messa della Notte di Natale
in Cattedrale ( 24 Dicembre 2018)
Vorrei esordire con tre citazioni tratte da altrettanti passi biblici che abbiamo appena ascoltato e con una semplice, conseguente notazione.
Isaia: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”.
Isaia, ancora: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”.
Vangelo di Luca: “Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore”.
Un germoglio, un virgulto, una grande luce, un Salvatore: mi ha colpito questa sottolineatura dell’ “uno”, dell’ “unicità” di Gesù che nasce.
Specie perché le si contrappone il concorso di popolo.
Guidato da quella suggestione, ho immaginato il Natale come una convergenza da tutta la terra e dalla molteplicità delle nostre vite a quell’unicità meravigliosamente povera e insieme decisiva.
Una sorta di reductio ad unum (un ricondurre ad unità) di tutta la complessa e varia umanità che siamo - ciascuno con le sue vicende, i suoi dolori, i suoi desideri, le sue incertezze; un metterci davanti a questo inerme bambino per ritrovare, davanti a quell’uno, l’unità del cuore e della vita.
Il rischio del cuore diviso
Parlo non a caso di unità del cuore, perché mi pare che un grande rischio di questa nostra epoca, e quindi anche di questo Natale, sia di vivere con il cuore diviso fra tante, troppe suggestioni.
Forse non ne abbiamo ancora piena consapevolezza, ma nell’ultimo mezzo secolo è come se la realtà intorno a noi si fosse via via allargata. Se un tempo il contesto in cui si dipanavano i nostri giorni era quello che concretamente ci circondava, pian piano i suoi limiti sono stati abbattuti. Radio, telefono fisso, televisione, telefono cellulare, internet, smartphone e social hanno poco a poco, ma con grande accelerazione negli ultimi anni, dilatato i nostri orizzonti, fino quasi ad annullarli. Siamo in un luogo, con alcune persone, ma nello stesso momento possiamo dialogare con persone lontane, aprire una finestra sul mondo, leggere notizie, pubblicare fotografie, riceverne. All’esperienza, affianchiamo la post-esperienza. Al mondo si aggiunge sempre più spesso un oltre-mondo di infinita ampiezza e inevitabilmente di grande fascino, che non può non frastornarci. Oggi, questa è la nostra modalità di essere uomini che si relazionano fra loro, secondo forme inedite e di cui ancora non sono stati ben compresi gli effetti.
Il centro è Cristo
Ebbene, di fronte a questo moltiplicarsi di voci, parole, immagini e mondi, credo che tutto deporre e inchinarci davanti a quel bambino che è uno e unico, a quella luce che è una, a quella salvezza che è una, sia un gesto davvero di conversione e di riconquista di noi a noi stessi.
Il centro, se crediamo in Cristo, è qui. Anche di fronte a una realtà articolata e moltiplicata; anzi, proprio di fronte a una realtà articolata e moltiplicata, chi ha fede in Cristo deve ritornare a Lui e ritrovarsi in Lui.
Signore, dovremmo dirgli, nel freddo di questa notte ci inginocchiamo davanti alla tua umile grotta, alla tua semplicissima nascita, al tuo essere uno, e chiediamo a te, Parola di Dio incarnata, di riportarci alla nostra essenzialità, alla nostra unità, alla nostra identità, che è quella di cristiani che in te, Parola, trovano la loro guida e che in te, Maestro, vedono la linea di comportamento da seguire anche nel mondo nuovo. Un mondo che ci mette quotidianamente alla prova.
Ritrovarsi nella famiglia di Betlemme
La seconda riflessione di questa notte vorrei dedicarla al contesto della nascita di Gesù. Il quale entra nel mondo protetto da una grotta e accudito da padre e madre. Anche l’incarna-
zione, sorprendente scelta di Dio e misteriosa azione dello Spirito, passa attraverso la famiglia, ha bisogno di un luogo riconoscibile. Famiglia e casa sono la cornice necessaria alla discesa di Dio nella storia.
So bene, e tutti lo sappiamo, che l’istituto famigliare è oggi più che mai discusso, e che attraversa una seria crisi. Non entro nel merito delle questioni spinose che lo insidiano. Mi limito a osservare che nel progetto di Dio e al progetto di Dio esso è indispensabile. Servono anche a Dio, sulla terra, una famiglia e una casa. Un àmbito, cioè, dove ci siano responsabilità condivise e cura reciproca, interazione tra generazioni e affetto, calore e attenzione.
Il Natale ci insegna anche questo.
Non per caso, istintivamente proviamo tristezza all’idea che qualcuno possa trascorrerlo solo, e in genere cerchiamo di evitare che questo accada. Se non ci sono parenti prossimi, si va dagli zii, dai cugini, da qualche amico, magari rimediato all’ultimo. Ma soli non si rimane, se possibile. La ragione è semplice: anche a livello inconscio, il Natale ci addita come icona quella della famiglia e della casa, ci ripete anno dopo anno che, se pure sottoposta a tensioni e disgregazioni, a ripensamenti e attacchi, in realtà la famiglia rimane il contesto primo in cui l’umano vivere si dispiega e si forma.
Dio onnipotente si sarebbe potuto incarnare adulto, o sarebbe potuto crescere in solitudine. Invece, ha scelto quella che potremmo definire tutta l’umana trafila, ed è nato con intorno un padre e una madre, e sopra la testa un tetto, per quanto provvisorio.
Segno più chiaro non potrebbe esistere: l’Umano - e Dio incarnandosi ha voluto appunto vivere l’esperienza dell’Umano - si esplica entro quell’ideale di riferimento.
Il Vangelo, del resto, non manca di dare la genealogia di Cristo e di connetterlo a Giuseppe entro la stirpe di Davide. Perché, lo sappiamo bene, la famiglia conta anche nel dispiegarsi del tempo. Ognuno di noi porta dentro il padre e la madre, e gli antenati, e il senso della sua dinastia. Siamo uomini e donne anche per questo motivo. Ed è in quel tramandarsi di valori e relazioni che la nostra vita acquista una fisionomia e un senso. Fosse per imitazione o per rifiuto, portiamo nella carne e nell’anima il segno della nostra famiglia. Natale, dunque ci parla di famiglia.
Recuperare il senso di famiglia e di casa
Poi, certo, il Natale ci indica anche un modello di famiglia invidiabile, perfetto, armonioso e sereno. Questo non sempre, anzi quasi mai, corrisponde a ciò che noi quotidianamente viviamo, ma può restare un esempio cui avvicinarsi. Natale potrebbe anche essere questo: il momento in cui cerchiamo, con buona volontà, di recuperare il senso di famiglia e di casa, ove lo avessimo sbiadito, o compromesso. Gesù bambino, nascendo fra Maria e Giuseppe e nella grotta, ci ricorda con la discrezione ineludibile dell’innocenza che la sua vita, e quindi ogni vita, non può che muovere da lì, da quel quadro di riferimento, e che esso merita quindi il nostro impegno.
Le confessioni e la direzione spirituale consentono a noi sacerdoti di sapere quante donne e quanti uomini reggono con fatica, sacrificio e abnegazione situazioni famigliari non facili. Come rispondono con la presenza all’indifferenza, con la mitezza alla prevaricazione. Magari, proprio per garantire ai figli ciò che Dio ha voluto per sé, nascendo.
Gesù, nascendo come nasce, ci dice che forse non esiste santità più nascosta ma più preziosa, meno riconosciuta ma più nobile di quella che si sforza di salvare la famiglia, di darle un senso, di mantenerla al centro della vita dei più deboli.
Guardando Gesù bambino, questa notte, vogliamo ricordare anche questo. Per questo vogliamo pregare.
+ Egidio, vescovo.