A un mese dall'uscita di Bandersnatch, il film interattivo lanciato con grande enfasi da Netflix e Black Mirror, ci è parso interessante fare il punto sulla ricezione dell'opera, e sul suo significato. Innanzitutto, passato il clamore del momento, l'interesse su questo esperimento sembra essersi rapidamente affievolito. L'opera ha suscitato inizialmente un ampio range di reazioni, dall'odio più totale all'entusiasmo militante con tutte le sfumature intermedie. Si tratta infatti di un primo esempio di narrazione interattiva a bivi introdotta sulla piattaforma dominante delle serie tv online, Netflix, inserita in una serie prestigiosa come Black Mirror, di cui abbiamo parlato qui
e qui.
C'erano già stati su Netflix esperimenti minori destinati a un pubblico infantile, come per esempio una avventura interattiva del Gatto con gli stivali dell'universo narrativo di Shrek. Il passo consecutivo più logico poteva essere quello di declinare il prodotto per l'intrattenimento per gli adulti, magari con una bella serie di supereroi, o certo, anche con la fantascienza (o perché no, l'horror? In fondo, proprio "Playtest" di Black Mirror parlava di un videogame horror del futuro). Già la fantascienza di Blake Mirror, filosofica, problematica, indistinguibile dal nostro reale, costituiva un terreno indubbio di sfida: e la scelta è stata quella della declinazione meta-narrativa, tralasciando gli aspetti ludici e di intrattenimento per portarci a riflettere sulle implicazioni filosofiche e sul medium.
In sostanza, quindi, dobbiamo pilotare un adolescente piuttosto problematico ma geniale che sta sviluppando un videogame per una casa di software nel 1984 (anno orwelliano certo non casuale...), ma non ci sono veri finali "positivi". Se seguiamo l'obiettivo (portare il gioco a una valutazione finale "a cinque stelle") c'è a suo modo un finale giusto; se vogliamo risolvere il trauma freudiano della morte della madre c'è un finale molto poetico; oppure possiamo cadere nella paranoia complottista, fallendo, o rompere la quarta parete in vari modi (che ricordano un po' il "Nirvana" di Salvatores, dove nel 1997 era Abatantuono a dover fuggire da una realtà virtuale che lo imprigionava, due anni prima di Matrix).
In questo modo le reazioni sono molto diverse a seconda della categoria di pubblico a cui appartenete: verrebbe quasi la tentazione di fare una recensione a bivi, ma ce n'è già una ottimamente scritta, di Lorenzo Fantoni, e sarebbe inutile creare doppioni (https://n3rdcore.it/bandersnatch-una-recensione-a-bivi/). Gli appassionati di videogame, comunque, in prevalenza sono rimasti delusi, in quanto le possibilità interattive sono poche rispetto a un videogame. Gli appassionati di serie tv e di cinema, invece, sono rimasti perplessi davanti alla struttura ad albero dell'opera, che la sottrae a una possibilità di giudizio tradizionale rispetto a questo medium. Molti utenti generici hanno inoltre trovato faticoso il meccanismo labirintico (che non dà in questo caso immediate soddisfazioni "action"). Forse la maggiore soddisfazione è per i nostalgici dei libri a più finali (e infatti la casa produttrice dei "Choose Your Adventure" pare intenzionata a fare causa), che hanno avuto anche una incarnazione fumettistica su Topolino ad opera di Concina (e, molto di recente, sul Mercurio Loi di Bilotta, per la Bonelli: ne parlo qui). Insomma, un prodotto comunque interessante, dalle complesse implicazioni filosofiche e postmoderne (che ho esplorato meglio qui: http://barberist.blogspot.com/2019/01/bandersnatch.html) ma non forse l'ideale per conquistare il cuore del vasto pubblico.
E in attesa di Daredevil o di uno Stranger Things interattivo, non ci resta da ricordare che ormai tutta la nostra realtà è strutturata come un grande videogioco social: ne avevamo parlato qui, durante la scorsa campagna elettorale nazionale, quando un politico aveva fatto ampio uso della gamification per la sua campagna elettorale. Ora continua a farlo, all'Interno del Governo, in modo più sfumato e con risultati che affascinano i sostenitori e terrorizzano gli avversari. "Sembra una puntata di Black Mirror": lo ripetiamo sempre più spesso. E ci fa sempre più paura.