Le leggi razziali in Germania, in Italia e nel resto d’Europa

Il primo fu «Il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza», pubblicato in forma anonima sul Giornale d’Italia il 14 luglio 1938 col titolo «Il Fascismo e i problemi della razza».

In Germania.
La politica della razza nella Germania nazista è motivata dall’esito della sconfitta subìta nella prima guerra mondiale. I nazionalisti tedeschi, umiliati dalle sanzioni durissime e punitive decise con il Trattato di Versailles e sostenute soprattutto dalla Francia, ritenevano di essere stati pugnalati alle spalle e riversarono il loro sentimento di rivincita soprattutto sulla popolazione ebraica tedesca. Dapprima, fra il 1933 e il 1934 la politica razzista fu edulcorata per evitare le proteste dei moderati, poi i nazisti accusarono gli ebrei della grave situazione in cui versava la Germania: miseria e disoccupazione. Quando Hitler divenne Cancelliere, caddero i timori di reazioni oppositive. Il 7 aprile del 1933 il Terzo Reich emanò le leggi razziali, con le quali gli ebrei tedeschi furono esclusi da molte professioni e associazioni. Il 15 settembre nel 1935, furono promulgate le Leggi di Norimberga che con infamanti motivazioni pseudoscientifiche definirono gli ebrei «sub-umani». Fu così negata agli ebrei la cittadinanza tedesca e, di conseguenza, tutti i diritti garantiti ai cittadini come, ad esempio, il diritto di voto. Furono proibiti i matrimoni e le convivenze tra ebrei tedeschi e tedeschi e anche il lavoro di ragazze tedesche sotto i quarantacinque anni di età in famiglie ebree. Gli ebrei vennero banditi dall’esercito; nei negozi e nei ristoranti apparvero i famigerati cartelli «vietato l’ingresso agli ebrei».

In Austria.
Già prima del 1938 (anno dell’annessione - anschluss- dell’Austria alla Germania nazista), la situazione in Austria e a Vienna era caratterizzata da un crescente antisemitismo, alimentato dai partiti dell’estrema destra e dai sempre più numerosi seguaci e ammiratori di Hitler. Quando nel 1938 le truppe naziste invasero l’Austria, le leggi razziste contro gli ebrei furono subito applicate. Iniziò, oltre a un grande esodo di ebrei nei Paesi ritenuti più sicuri, la loro persecuzione sistematica e la loro incarcerazione nei campi di concentramento, in particolare in quelli di Dachau e di Mauthausen.

In Francia.
Le leggi razziali furono emanate in territorio francese dopo la sconfitta del giugno del 1940. La legge del 3 ottobre 1940 emanata dal regime di Vichy sullo «Statut des Juifs» raccolse tutti i divieti presenti nelle leggi razziali italiane e tedesche e fu poi completata e integrata da una legge del 2 giugno 1941. Questa tentò di identificare un ebreo sulla base dei nonni e dei bisnonni, dispose il censimento degli ebrei, controllò l’ingresso degli ebrei nelle università e negli istituti di insegnamento superiore, regolò l’esercizio da parte degli ebrei delle professioni di avvocato, architetto, farmacista, ostetrica, dentista e vietò loro l’acquisto di aziende e terreni.

In Polonia.
Il primo settembre 1939, con l’invasione tedesca della Polonia, la questione ebraica diventò enorme. Nelle regioni della Polonia sottomesse al Terzo Reich risiedevano almeno 1.800.000 ebrei. Le norme emanate per escluderli dalla società civile si rivelarono di conseguenza insufficienti. I nazisti provvidero allora alla creazione dei ghetti, dove gli ebrei furono rinchiusi. In seguito, dopo l’invasione dell’Unione Sovietica nel 1941, furono organizzati dei «gruppi di intervento» incaricati di feroci massacri.
In Ungheria.
Nel 1938, il Parlamento ungherese approvò la cosiddetta «prima legge antiebraica», contro gli ebrei sebbene fossero ben integrati nella società. Gli ebrei furono colpiti nei loro patrimoni, nei loro affetti, nella loro dignità e nel 1944 furono vittime della deportazione e dello sterminio.

In Slovacchia.
Il 18 aprile 1939, un mese dopo l’indipendenza, la Repubblica slovacca approvò una serie di misure restrittive contro i 90.000 ebrei residenti nel Paese, da cui erano però esclusi coloro che si erano convertiti al cristianesimo. Nel settembre del 1941 fu approvato un «Codice ebraico», sul modello di quello del Reich nazista. La nuova legge imponeva agli ebrei slovacchi di età superiore ai sei anni di indossare una stella gialla sugli abiti, vietava loro di intraprendere diverse attività, proibiva i matrimoni tra ebrei e non ebrei ed escludeva i giovani ebrei, anche se battezzati, dall’istruzione di ogni ordine e grado. Agli ebrei fu imposto inoltre di registrare tutti i beni immobili, che furono in seguito confiscati. Dopo l’accordo di Monaco del 29 settembre del 1938, il territorio dei Sudeti fu separato dalla Cecoslovacchia e annesso al Reich. La mattina del 15 marzo 1939 la Wehrmacht entrò nella città di Praga. Vennero applicate misure di controllo della stampa, aboliti i partiti politici e i sindacati e furono applicate le leggi di Norimberga.

In Italia
Nonostante il razzismo si fosse diffuso nella società italiana almeno dalle prime campagne coloniali dell’inizio del Novecento, una decisa svolta in senso razzista si ebbe durante la dittatura fascista e in particolare il 9 maggio 1936 con la proclamazione della rinascita dell’Impero. In questa prospettiva, il 5 agosto 1936, in Etiopia, si decise di separare le abitazioni degli italiani da quelle degli abitanti locali. Bisognerà attendere il 1938 per l’emanazione vera e propria delle leggi razziali: da luglio a dicembre, saranno ben undici i provvedimenti in merito alla razza. Il primo fu «Il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza», pubblicato in forma anonima sul Giornale d’Italia il 14 luglio 1938 col titolo «Il Fascismo e i problemi della razza». Il 5 agosto uscì «La Difesa della razza». Il 5 settembre fu varato il «Decreto per l’esclusione dei professori dalla scuola», con cui gli insegnanti ebraici furono licenziati dal 16 ottobre e infine fu istituito il Tribunale della razza. Il 25 luglio del 1938, un comunicato stampa del segretario del Partito Nazionale Fascista, Achille Starace, indicò il nome dei 10 scienziati che avevano avallato i principi fondamentali delle leggi razziali nel Manifesto della razza. Il Manifesto, con il consueto e ampolloso stile retorico fascista, sosteneva l’esistenza delle razze umane e dell’origine ariana della popolazione italiana, dovuta al fatto che, dopo l’invasione dei Longobardi, l’Italia non aveva subito altre contaminazioni. Anzi, si sottolineava la diversità fra i popoli del Mediterraneo occidentale e quelli del Mediterraneo orientale, per cui agli ebrei non era permesso unirsi a una civiltà ariana come quella italica. ll Manifesto attestava la complicità degli scienziati italiani nel sostenere e diffondere le teorie razziste. Branche della ricerca (Demografia e Statistica, Antropologia e Medicina sociale) si proposero di dimostrare “scientificamente” la condizione inferiore di alcune razze nei confronti di quella italica. Queste affermazioni intendevano prendere le distanze dalle Leggi di Norimberga, in quanto la teoria della supremazia della razza ariana italica veniva confortata da basi scientifiche e giustificava l’emanazione delle leggi razziali del 13 luglio 1938.
Sebbene questi avvenimenti spaventosi appaiano oggi lontani nel tempo, non si può e non si deve dimenticare che il razzismo ha agito – e agisce tuttora – come movente di guerre, pulizie etniche e regimi segregazionisti.
Nel 1950, l’UNESCO ha condannato il razzismo nella Dichiarazione sulla razza, negando qualunque legame tra le differenze biologiche degli esseri umani e le loro caratteristiche psicologiche, morali o comportamentali. A partire dal 2000, il 21 marzo è stata proclamata la «Giornata mondiale contro il razzismo».

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