Dal “Piave” alla trap la “Storia culturale della canzone italiana” di Jacopo Tomatis

Un’analisi di quasi mille pagine senza snobismi né giudizi estetici della musica leggera, nelle varie declinazioni, dalle origini ai giorni nostri

Era il 1980 quando i musicofili italiani furono sorpresi da un curioso episodio. L’uscita, in marzo, di un album di Edoardo Bennato. Un fatto anomalo, dato che lo stesso autore aveva pubblicato un disco solo quindici giorni prima. Quel secondo disco conteneva un brano che, all’alba degli anni ’80 in qualche modo, fotografava l’essenza di un dibattito sviluppatosi per tutti i due decenni precedenti: il peso specifico artistico e culturale delle canzoni. “Sono solo canzonette” può rappresentare quasi l’ironica retrospettiva di un autore, dopo dieci anni di lavoro per portare la musica leggera e la canzone nella direzione dell’impegno, artistico e politico. Un lavoro in cui è stato in buona compagnia: l’albero genealogico del cantautorato e della musica d’arte è talmente ampio e articolato che sarebbe inutile, prima ancora che impossibile, provare a darne dei cenni in poche parole. Oggi nessuno ha più il coraggio di mettere in discussione il valore del lavoro di Fabrizio De André, Francesco De Gregori, o quello degli Area e della Premiata Forneria Marconi, per citare qualche nome. Parliamo però di “Le mille bolle blu”, “Marina”, “Come prima”, “Giuro d’amarti così”, “Il tuo mondo”. Queste davvero solo canzonette, da consegnare senza rimpianto tra la paccottiglia che ha arredato i decenni mitici del boom italiano, buone al più per qualche varietà d’intrattenimento nostalgico? “La storia siamo noi, nessuno si senta offeso” come recita il verso di un’altra canzone, tanto citata da diventare ormai un luogo comune. È storia anche quello che abbiamo ascoltato e canticchiato. Ogni canzone, anche il più commerciale sottoprodotto dell’industria discografica, è un tassello che va a comporre il mosaico della storia del movimento musicale, oltre che del costume e della nostra storia recente.

Un approccio culturale alla canzone

Il giornalista, musicologo (tiene il corso di Popular music all’Università di Torino) e musicista (è membro de “La stanza di Greta”) monregalese Jacopo Tomatis è partito da questi presupposti per scrivere la sua “Storia culturale della canzone italiana” edita da “Il Saggiatore”. Si tratta di un lavoro monumentale, che sfiora le 1.000 pagine, in cui confluiscono oltre dieci anni di lavoro, ascolti, riflessioni, a partire dalla tesi di dottorato, il primo nucleo intorno a cui si è stratificato il volume che sarà nelle librerie il 31 gennaio. Un lavoro per definizione eternamente “in progress” e che, per mole di informazioni, vastità e approccio all’argomento trattato, rappresenta sicuramente una pubblicazione importante, da cui il panorama della ricerca musicologica italiana non potrà prescindere. Il saggio parte dalle origini della canzone italiana, e da un tentativo di definizione di un concetto così complesso e sfuggente, per arrivare ai nostri giorni, al discusso fenomeno trap. L’approccio del ricercatore esclude giudizi di carattere estetico, per limitarsi ad analizzare le caratteristiche del fatto musicale e della sua evoluzione, mettendo a fuoco i legami con il contesto storico e sociale in cui è stato concepito e sviluppato. Dallo sviluppo dei mezzi di diffusione (ad esempio radio, singoli, juke box, long playing, musicassette, compact disc, Smartphone, etc. etc.) la trattazione esamina le caratteristiche dei brani, gli stilemi compositivi di musica e testi e il modo in cui cambiano negli anni. Parallelamente, esamina il modo in cui gli intellettuali si pongono nei confronti di queste produzioni, e il modo in cui giornalisti e addetti ai lavori le ascoltavano e classificavano. Uno sguardo d’insieme molto vasto e prezioso, per orientarsi nel complesso universo della musica leggera italiana, frammentata in tanti generi, tanti intenti artistici e culturali, tante modalità d’esecuzione, tanti mondi sonori. Tra melodia e ritmo, tra tradizione e avanguardia, tra musica e testo, tra disimpegno e politica, tra cantanti confidenziali e urlatori, tra musicisti progressivi, avanguardistici e nostalgici, tra esterofili e cultori della tradizione folkloristica popolare. Tanti elementi, dai confini il più delle volte non semplici da definire.

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