Gegè Telesforo: «All’Italia serve un nuovo Rinascimento» INTERVISTA

Una chiacchierata con il noto cantante jazz, autore e conduttore televisivo, che venerdì 22 febbraio è in concerto al Baretti in “Soundzforchildren”

È uno dei volti della divulgazione musicale in Italia, ma prima di tutto è uno dei grandi del jazz italiano. Gegè Telesforo ha condotto la sua carriera su di un doppio binario. Da un lato la musica, concerti, dischi, collaborazioni prestigiose, viaggi, tournée, studio, improvvisazioni. Dall’altro la televisione, la radio, l’ascolto, la selezione, la diffusione di brani, artisti. Il racconto di mondi musicali, le incursioni in studi televisivi e trasmissioni varie. È stato Renzo Arbore a inaugurare la sua consuetudine con il pubblico del piccolo schermo, scegliendolo per trasmissioni come “Quelli della notte” o l’ormai leggendario “International Doc Club”, uno spazio che negli anni ‘80 ha rappresentato una formidabile vetrina per musicisti internazionali, dando vita a una serie di duetti immortali (tra cui quello rimasto celebre, insieme al compianto Lucio Dalla). Con Lucio, oltre alla passione per il Jazz, Telesforo condivideva lo studio della tecnica dello Scat, una particolare tecnica in cui il cantante improvvisa modulando sillabe prive di senso, in cui coniuga melodia e ritmo con una velocità e uno stile quasi da “Bopper”. Telesforo è un maestro di questa particolare tecnica, che insegna alla Venice Voice Academy di Los Angeles e che rappresenta il principale canale di espressione della sua vocalità. Venerdì 22 febbraio questo mostro sacro del Jazz italiano si esibirà al Teatro “Baretti” di Mondovì, con il suo quartetto, per una tappa del tour “Soundzforchildren”. Si tratta di uno degli eventi di punta della stagione musicale organizzata dalla città di Mondovì e dall’Academia Montis Regalis. Telesforo ha accettato di concederci una breve intervista, sulla sua musica, sul suo impegno nel sociale e sulla sua diagnosi dello stato musicale in Italia

«Mondovì è una delle tappe della nostra tournèe teatrale che durerà fino alla fine di maggio. Lo spettacolo è un progetto legato alla missione Unicef che sto portando avanti, in qualità di ambasciatore. Ci divertiamo come matti sul palco, ho la fortuna di collaborare con grandissimi professionisti, tra cui il miglior bassista in Italia, Dario “Deiddabass” a cui sono legato da un’antica amicizia. Poi c’è anche il pianista Domenico Sanna, con cui collaboro da tempo, e il giovane talento di Michele Santoleri: tanti giovani musicisti stravedono per la sua grandissima abilità tecnica. Insieme proponiamo un repertorio piuttosto vario, basato per lo più su composizioni originali mie e di Dario, riviste per l’occasione e per il nostro particolare organico. In queste versioni dedichiamo particolare attenzione alla parte ritmica dei brani, che diventa un po’ il fulcro di un concerto piacevole da ascoltare, coinvolgente e incandescente».

Che cos’è esattamente Soundzofchildren?

«Si tratta di un progetto attivo da diversi anni, che ho ideato nell’ambito del mio impegno per l’Unicef. Si sviluppa in contesti sociali difficili, per aiutare i bambini e gli adolescenti a crescere e credere nel futuro, grazie alla musica. Nel nostro Paese spesso la musica è vista unicamente come un elemento di intrattenimento, un riempitivo per i palinsesti, ma la musica può rappresentare valori più importanti: multiculturalità, integrazione, condivisione della diversità. È un linguaggio che può abbattere tutte le barriere e unire le persone».

La ricetta del tuo sound parte da una solida base Jazz- Funk, su cui si innestano le influenze e contaminazioni più diverse. Da dove viene questa miscela?

«Mi sono formato in una casa di appassionati di jazz, e questa è la musica da cui vengo, quella che ho studiato a lungo, in cui mi sono formato. Naturalmente accanto a questo studio c’è stata tutta una serie di ascolti che ho fatto e che mi hanno portato a plasmare il mio suono, con un risultato molto originale, che mescola Jazz-Funk e sonorità Afro. Sono stato uno dei pochi in Italia a proporre questo tipo di musica. Quando ero nei Paisley Studios di Prince per registrare Mother Tongue D’Angelo non aveva ancora registrato Brown Sugar, e Robert Glasper forse non aveva ancora nemmeno cominciato a suonare ».

Sei maestro nella tecnica dello “Scat”, una tecnica difficile da comprendere per chi non è avvezzo al jazz. Quali sono le caratteristiche e le difficoltà per chi comincia a cimentarsi in questa tecnica?

«Per arrivare a padroneggiare l’improvvisazione “Scat” in modo soddisfacente ci sono diversi step da superare. Intanto bisogna partire dallo studio approfondito della tecnica vocale, senza il quale non si va da nessuna parte. Poi bisogna studiare uno strumento e comprendere le dinamiche dell’improvvisazione. Tutti i più grandi improvvisatori “Scat” sono anche dei grandi musicisti»

Hai collaborato e diviso il palco con tanti grandissimi musicisti, quali sono gli incontri che ricordi con più soddisfazione?

«Ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere i più grandi musicisti, i grandi pionieri del jazz. Se ripenso che ho potuto incontrare e suonare con Miles Davis, Clark Terry, Dizzie Gillespie, mi vengono i brividi. Fortunatamente ne esistono delle testimonianze registrate, altrimenti faticherei ancora a credere che sia successo davvero ».

Sei autore e conduttore oltre che musicista: qual è il punto di vista sullo stato di salute della musica in Italia?

«Mi viene in mente il detto “Prendi l’arte e mettila da parte”. Purtroppo in questo momento l’arte è un po’ messa da parte. La diffusione della musica, che dovrebbe avvenire attraverso la radio e la televisione, è ridotta ad un semplice riempimento di palinsesti. L’occhio è rivolto più al fattore commerciale che a quello artistico. C’è un appiattimento generale. Abbiamo i conservatori, le scuole di musica piene di talenti che lavorano molto e sono apprezzatissimi all’estero pur restando sostanzialmente sconosciuti in Italia. Siamo un Paese che ha bisogno di un nuovo Rinascimento, un rinnovamento che può arrivare solo grazie all’ arte e alla cultura. Non abbiamo bisogno di altre popstar».

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