Di Paolo Roggero
Un romanzo sulla lettura. Non è una cosa poi così originale, non bisogna pensarci nemmeno troppo per trovare un altro libro con la stessa caratteristica: “Se una notte d’inverno un viaggiatore” Italo Calvino. Eppure il Nome della Rosa è il frutto di un’alchimia più unica che rara, unisce nelle sue pagine secoli di storia, cultura filosofia ai meccanismi della narrativa popolare, dal feuilleton al giallo d’evasione. La genesi del romanzo è nota almeno quanto il romanzo stesso, visto che Eco la raccontò in un articolo che poi fu costantemente ristampato insieme al libro, e la cosa buffa è che assomiglia in modo molto divertente al prologo del romanzo, la più classica delle “trouvaille” simulate, sul modello manzoniano, in cui tuttavia il protagonista si trova a inseguire il manoscritto in diversi panorami e città. Tutto nacque da una suggestione, l’idea di un monaco morto, avvelenato mentre leggeva. Come già J. R. R. Tolkien, che costruì un intero mondo a partire dalla frase “In un buco del terreno viveva uno hobbit” Eco partì da questa morte misteriosa, e costruì attorno a questa idea tutto l’intreccio: inizialmente aveva pensato di ambientarlo nell’Italia contemporanea, affascinato dall’idea di un cenobita intento a leggere il Manifesto, poi decise di optare per l’ambientazione medievale. «A un certo punto mi son detto che, visto che il Medio Evo era il mio immaginario quotidiano tanto valeva scrivere un romanzo che si svolgesse direttamente nel Medio Evo. Come ho detto in qualche intervista, il presente lo conosco solo attraverso lo schermo televisivo mentre del Medio Evo ho una conoscenza diretta». Il Nome della rosa, con i suoi molteplici piani di lettura, ha saputo divertire una fetta ampia di pubblico, soddisfando i lettori più colti ed esigenti come il grande pubblico della letteratura d’evasione, ed ha colpito profondamente l’immaginario collettivo. Il film che ne ha tratto Jean Jacques Annaud è già nella storia del cinema: in questi giorni sta per sbarcare in televisione, con una serie diretta da Giacomo Battiato. L’attesa e la curiosità per il lavoro è alta: nel ruolo del protagonista, Guglielmo, c’è l’attore americano John Turturro, mentre Adso è interpretato da Damian Hardung. L’evento televisivo ha fatto tornare, ancora una volta, i riflettori sul capolavoro di Eco, un opera che è sempre piacevole rileggere e da cui si possono trarre sempre nuovi spunti, ma soprattutto da cui si può partire per nuovi itinerari culturali. Questo è il senso, di queste pagine curate dal Culture Club 51. Buona lettura.