La chiamano “la cannabis legale”. Oppure “la cannabis light” o “leggera”. Chi la vende (a Mondovì esistono diversi punti, ma sono nati un po’ ovunque) la commercia in vasetti o bustine e dice che può essere usata come tisana rilassante. O per uso ornamentale. Ma il dubbio che ci sia chi ne faccia altro uso, ovviamente, c’è.
Così il Comune di Mondovì ha emesso un’ordinanza temporanea: per 12 mesi, su tutto il territorio cittadino, è vietata «ogni forma di commercio al dettaglio in sede fissa (anche tramite distributori automatici h/24) e su aree pubbliche di prodotti e/o miscele vegetali costituite da infiorescenze di canapa sativa L. a basso tenore di principio attivo (THC < 0,2%) e suoi derivati (resine)».
La motivazione? «A fronte dell’espandersi del mercato de quo e alla luce delle raccomandazioni espresse dal Consiglio Superiore di Sanità – scrive il Comune –, abbiamo ritenuto necessario inibire sul territorio comunale in via precauzionale e nelle more di una più esaustiva definizione scientifica e di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione e/o del Legislatore delle problematiche sopra illustrate, la vendita al dettaglio di prodotti e/o miscele vegetali contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa sativa L. a basso tenore di principio attivo (THC < 0,2%) e suoi derivati (resine). Nell’attuale situazione di ambiguità normativa, l’indiscriminata commercializzazione di prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa desta notevoli preoccupazioni, posto che come evidenziato dal Consiglio Superiore di Sanità non vi è certezza circa il fatto che siffatte sostanze non arrechino danni alla salute psico-fisica. Non solo: la loro libera commercializzazione può creare una visione falsata della realtà, ingenerando, soprattutto nella giovani generazioni, particolarmente vulnerabili, l’idea ingannevole che il consumo di dette sostanze sia assolutamente normale, non dannoso e lecito».
«La decisione – spiega il sindaco della città di Mondovì, Paolo Adriano – tiene conto dell’attuale situazione di ambiguità normativa sul tema della cosiddetta “cannabis legale”: da una parte c’è la Legge n. 242/2016, che incentiva la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa a basso contenuto di THC, dall’altro la nota del Ministero dell’Interno del 31 luglio 2018, che ha evidenziato come, a garanzia delle preminenti ragioni di tutela della salute e dell’ordine pubblico, la cessione di infiorescenze di cannabis sativa, a causa della sola presenza di THC, dovrebbe rientrare nel perimetro sanzionatorio della normativa antidroga. Vi è, altresì, la raccomandazione, contenuta nella nota del 10 aprile 2018 del Consiglio Superiore di Sanità, di attivare, nell’interesse della salute individuale e pubblica, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti, considerato che: non può esserne esclusa la pericolosità; non è stato valutato il rischio connesso al consumo in relazione a specifiche condizioni quali l’età, la presenza di patologie concomitanti o le interazioni con farmaci; la vendita avviene con modalità che non permettono di escludere un’assunzione in quantità significative, dal punto di vista psicotropo e stupefacente, dei principi attivi e, in particolare, di Delta 9-THC. Per tali ragioni, in attesa di una più esaustiva definizione scientifica e di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, investite della questione, è stata emanata, in via precauzionale, l’ordinanza».