Gian Mario Taricco: il cuore più longevo d’Europa. Trapiantato di cuore nel 1985 e poi, nel dicembre 2016, il trapianto di reni. «Venivo da un anno e mezzo di dialisi feroce, nel mentre la scienza ha fatto balzi in avanti incredibili». La storia di Gian Mario Taricco, doglianese che ora vive a Mondovì, è diventata parecchio nota. «Sono il secondo trapiantato di cuore più longevo al mondo, c’è una bambina che venne operata poco prima di me negli Stati Uniti all’età di due anni. Ora ne ha 37».
Gian Mario Taricco: il cuore più longevo d’Europa
Nel novembre di 34 anni fa, a Pavia, va infatti in scena il secondo trapianto di cuore in Italia. Gian Mario di anni ne ha 20 ed era arrivato agli sgoccioli. «Giocavo a calcio, in quella che ai tempi si chiamava Interlanga, in Promozione. Facevo fatica a respirare e il mio cuore aveva dimensioni abnormi. Sono arrivato “al pelo”: appena qualche giorno prima il ministro Degan aveva dato l’autorizzazione a svolgere i trapianti di cuore anche in Italia». Il cuore è quello di Andrea Orlandi, un ragazzino di 14 anni di Magenta. «Era morto in motorino, cadendo di lato e andando a sbattere con la testa sullo spigolo del cordolo. Una tragica casualità, all’epoca il casco non era obbligatorio e non si usava. Se penso io a tutte le volte che sono caduto dal motorino…». In quegli anni il collegamento fra donatore e ricevente era diretto, senza restrizioni per la privacy. «Ho vissuto sulla mia pelle il cambiamento totale della normativa. Con la famiglia di Andrea ho intrattenuto rapporti settimanali per trent’anni, fino alla scomparsa dei genitori. La mamma mi era molto affezionata. Il mio primo figlio si chiama Andrea, mi è sembrato un gesto doveroso.
Un altro intervento
Adesso i tempi sono completamente cambiati: l’identità del donatore deve essere mantenuta rigorosamente segreta. So solo che i reni che ho ricevuto arrivavano da Cremona. Per vie traverse sono poi venuto a conoscenza del fatto che appartenevano a un uomo sulla quarantina, deceduto in seguito all’assunzione di una grande quantità di alcol. Anche questa è una fatalità assurda, non era infatti un bevitore abituale e l’organo era tonico, in perfette condizioni. Il mio organismo ha reagito benissimo, la sera stavo già meglio. Se penso al post trapianto, rispetto al mio primo intervento, è stato davvero tutto molto più facile. Nella medicina trent’anni rappresentano un’enormità. I miei reni erano distrutti da tutti i farmaci anti-rigetto ingeriti in questi anni. Adesso i trapiantati di cuore non corrono più questo rischio, ci sono dosaggi e medicinali specifici, molto meno invasivi. Il livello di competenza e know-how in Italia e in Europa è molto alto, non siamo più “indietro” rispetto agli Stati Uniti». Nell’85 il dottor Mario Viganò, autore del trapianto, fu uno dei precursori in tutta Italia. «Adesso è in pensione, ma ci sentiamo spesso. Lui tifoso sfegatato del Milan, io della Juve. Ci mandiamo tutte quelle cretinate che girano su Whatsapp…».
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La voce dell'Aido
Parallelamente Gian Mario è diventato una delle “voci” dell’Aido, l’Associazione italiana per la donazione degli organi. «L’onorevole Gasco di Mondovì fu il presidente della sezione di Mondovì. Era molto amico di mio padre e appena ha saputo mi ha coinvolto fin da subito, nell’86, nelle varie attività dell’Associazione. L’Italia è uno degli ultimi Paesi d’Europa come numero di donatori di organi. È una questione essenzialmente di mentalità: l’italiano ha l’idea del “rispetto assoluto” del cadavere. Le liste di attesa sono però lunghissime e gli organi donati non bastano mai…». Un trapianto è sicuramente qualcosa che segna, ma nello stesso momento permette proprio di non cambiare niente della “vita di prima”. In Italia il tasso di rigetto nei trapianti cardiaci si sta abbassando sempre di più. Dopo il 30% legato al primo anno, la curva si appiattisce drasticamente. «Per il resto – continua Gian Mario –, ho fatto tutto quello che dovevo fare. Sport a parte, ho proseguito gli studi, mi son laureato, ho svolto praticantato allo studio legale “Gazzola” e poi ho avuto l’opportunità di entrare in banca, alla Bre, dove lavoro ancora oggi, mi sono sposato e ho avuto dei figli». Perché il messaggio è proprio questo: la vita continua.