La chiave a stella fu la seconda prova narrativa di Primo Levi, uscito per Einaudi nel 1978, a 3 anni da "Il sistema Periodico".
Quando Edgar Lee Masters pubblicò, in America, l’Antologia di Spoon River, Primo Levi non era ancora nato. Era il 1914, e Levi sarebbe venuto al mondo solo cinque anni dopo. Quando gli italiani ebbero l’occasione di leggerla per la prima volta era il 1943, e Levi si trovava in un momento chiave del suo impegno antifascista. L’anno dopo avrebbe vissuto l’esperienza della deportazione. “La chiave a stella” uscirà nel 1978, sette anni dopo l’adattamento in musica di alcuni dei testi di Masters in “Non al denaro non all’amore né al cielo” di Fabrizio De André. Così è lecito chiedersi se avesse, in qualche modo, già rintracciato nelle parole di “Trainor il farmacista”/”Un chimico” i primi germi di una pagina fondamentale de “La chiave a stella” in cui Levi rifletteva sul suo mestiere, o se questa sia, come è del tutto possibile, unicamente frutto delle sue riflessioni.
Il chimico: «È già difficile per il chimico antivedere, all’infuori dell’esperienza, l’interazione fra due molecole semplici; del tutto impossibile predire cosa avverrà all’incontro di due molecole moderatamente complesse. Che predire sull’incontro di due esseri umani? O delle reazioni di un individuo davanti ad una situazione nuova? Nulla: nulla di sicuro, nulla di probabile, nulla di onesto. Meglio sbagliare per omissione che per commissione: meglio astenersi dal governare il destino degli altri, dal momento che è già così difficile ed incerto pilotare il proprio».
La curiosa vita di Tino Faussone
È nascosto in queste righe un concetto chiave dell’esperienza del Levi scrittore, di cui proprio nella “Chiave” il lettore può trovare qualche riflessione. È forse proprio in questa incertezza, il senso ultimo della curiosa odissea del montatore Tino Faussone in giro per il mondo, alle prese con cantieri, derrick, gru, culture diverse, capi e operai, insidie della scienza e della tecnologia. Per uno scienziato e il montatore, abituati a misurare e far funzionare il mondo secondo leggi esatte, la vita è sempre inafferrabile, pertanto non si può che raccontarla. Se in “Marcovaldo” Calvino raccontava lo spaesamento dell’uomo di campagna che si trova alle prese con la città, in “La chiave a stella” Levi ritrae l’uomo di città, di industria, di officina nel suo aprirsi al mondo, e testimonia la dignità e il valore della cultura pratica, della tecnologicae del sabaudo “lavoro ben fatto”.
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