La scorsa edizione di Illustrada 2019 era entrata nel vivo giovedì 23 maggio, con la presentazione della biografia a fumetti dedicata alla vita di Primo Levi e illustrata da Pietro Scarnera. Il libro, intitolato “Una stella tranquilla” (2014) e vincitore del premio rivelazione al festival di Angouleme 2016, era stato presentato al pubblico della manifestazione attraverso un’intervista da me condotta nella cornice dell’Antico Palazzo di Città. Ne era emerso una riflessione molto interessante dell’autore sulla sua opera, che vi riproponiamo qui in occasione di questo centenario leviano, in un’epoca che ha – come sempre – bisogno di riflettere ad ampio raggio sul suo discorso.
Come nasce la scelta di adattare a fumetti la vita di Primo Levi?
“Una stella tranquilla” non è propriamente una biografia, ma un “ritratto sentimentale”, come dice il sottotitolo. Vale a dire il mio modo di raccontare uno scrittore che ho amato molto e che considero importante non solo per capire il passato, ma soprattutto perché nell’opera di Levi troviamo delle chiavi di lettura per il nostro presente. Una risposta standard che ci si potrebbe aspettare è: “per portare Levi ai ragazzi”... ma oggi la lettura di fumetto nelle fasce più giovani è calata molto, quindi non è così automatico! Tuttavia, resta il fatto che una biografia a fumetti è più accessibile che un’opera puramente testuale, e la proposta scolastica, in questo senso, è una buona mediazione. Usando il fumetto credo si possa riuscire ad arrivare anche a chi una biografia “normale” di Primo Levi non la leggerebbe mai. Il titolo, “Una stella tranquilla”, parte dal titolo di un racconto di Levi, e può essere una buona definizione anche per l’autore, una stella di prima grandezza della nostra letteratura, in apparenza equilibrato e “risolto”, ma che dentro doveva evidentemente vivere grandi turbamenti.
Colpisce la scelta di partire dal ritorno di Levi a Torino, dopo gli eventi del lager. Perché tale decisione?
Diciamo anche che, come molti appassionati dello scrittore, ho voluto portare alla luce il suo carattere di autore completo, a tutto tondo, non limitato alla narrazione di memoria che è naturalmente un momento fondamentale. Le vicende narrate quindi iniziano nel periodo immediatamente successivo a “La tregua”: non a caso il racconto a fumetti parte dove questo romanzo si conclude.
Levi è infatti uno scrittore più complesso di come lo si rappresenta, non c’è solo la testimonianza di Auschwitz ma anche “Il sistema periodico”, sulla sua esperienza di chimico, con cui Levi ha ottenuto una fama internazionale; “La chiave a stella”, sulla figura del tecnico specializzato, che parte da reali operai che Levi conobbe sul lavoro, e la fantascienza delle “Storie naturali”. Non c’è invece molto della vita privata di Levi, nel fumetto, perché su questi aspetti Levi era piuttosto riservato: c’è il Levi scrittore. Appare la sua amicizia con Calvino, il rapporto con la Ginzburg, che era sua cugina. Anche la copertina, se vogliamo, va nel senso di qualcosa di meno noto di Levi: riprende alcuni dei gufi che egli era solito fare come piccole sculturine, un tema che ha una sua trasversalità nella narrazione.
In ogni caso, naturalmente, il discorso del lager ritorna nel corso dell’opera. E con una scelta visiva particolare...
Sì, la figurazione del Lager appare solo nella narrazione “di secondo livello”, come ricordo o racconto all’interno delle vicende di Levi, ricavandolo dai disegni del lager di Dachau di un testimone come Zoran Music, in modo da rimarcare anche lo stacco di segno rispetto al racconto, a segnare l’eccezionalità di questa narrazione e la necessità di rappresentarla nel modo più fedele possibile al racconto dei testimoni.
Come abbiamo detto, il tuo romanzo a fumetti inizia con il ritorno di Levi a Torino. La città appare una protagonista importante, anche visivamente del racconto. Perché?
Dopo il ritorno dal lager, Levi visse sempre a Torino, dove morì, e dove era nato: il racconto della sua vita diviene così anche il racconto della città, che è strettamente interconnessa alla sua vita professionale e di autore. C’è in effetti molto rimando all’architettura, alle strade, ai palazzi, che divengono un elemento importante in relazione allo stretto rapporto di Levi con Torino stessa.
Ci sono stati dei modelli a cui ti sei ispirato per la tua opera?
In linea di massima è stato un lavoro piuttosto autonomo: non ci sono tanto modelli fumettistici quanto un lavoro sulle fonti primarie e secondarie relative alla vita dell’autore; come traspare dal romanzo stesso, anche numerosi sopralluoghi sugli spazi interessati dall’opera. Però, certamente, un’opera come Maus ha aperto le porte a un fumetto che tratti anche di questi temi in particolare, e a temi “maturi”, difficili in generale, tramite un segno essenziale, non iperrealistico. Come in tempi più recenti ha fatto Persepolis della Satrapi, o Palestina di Joe Sacco.
Concludendo, quindi, la memoria di ciò che Levi ha narrato durerà, anche grazie a questo fumetto?
Noi siamo la generazione dei nipoti, quella che non ha conosciuto Levi. Il suo rapporto con le generazioni successive è particolare, non automaticamente fiducioso, è sempre pervaso del timore di non essere creduto. Già in vita racconta della sorpresa degli studenti nel vederlo in carne ed ossa durante gli incontri con le scuole, del vederlo vivo. Il mio lavoro è in un certo senso una risposta a questa “paura”: come dire, la mia generazione ha ricevuto le parole di Levi e ora abbiamo il compito di passarle ai più giovani. Io ho provato a farlo con un fumetto. Il fatto che a distanza di anni dalla prima pubblicazione io continui a portare in giro questo lavoro mi fa pensare che delle parole di Levi abbiamo ancora molto bisogno.
Ringraziamo ancora Pietro Scarnera per la grande disponibilità dimostrata, e invitiamo tutti ad approfondire la sua opera, che offre una rilettura pregnante e non così usuale del grande autore torinese.
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