L’emergenza sanitaria ha profondamente colpito il volto del nostro Paese. Ha messo in discussione tanti aspetti della nostra vita e dell’organizzazione più in generale del sistema Italia in tutti i settori. Sicuramente tra le situazioni più delicate che questo virus ha fatto esplodere c’è quella dei lavoratori dello spettacolo. In Italia la condizione di chi opera in questo settore è già normalmente piuttosto precaria, rispetto alla realtà di altri Paesi (ad esempio, il sistema francese, di cui abbiamo dato conto in passato su queste pagine, in cui lo Stato riconosce un sussidio agli operatori del mondo dello spettacolo che dimostrino di aver fatto un numero di date stabilito) e l’annullamento di ogni evento culturale in questi mesi, e con ogni probabilità anche nei prossimi, ha gettato in uno stato di profonda difficoltà tutti quelli che della musica, della danza, dell’arte performativa, hanno fatto la propria professione principale. Non sono solo artisti, ma anche tutto il comparto tecnico che lavora intorno a questi: fonici, montatori di palco, tecnici luci e tanti altri ancora. Tutti a casa, senza lavoro e senza reddito. Una lunga corda sospesa nel vuoto su cui camminare, senza alcuna rete di protezione sotto. Così, da questa situazione difficile, è nata una nuova consapevolezza da parte dei lavoratori dello spettacolo di quanto sia necessario unire le proprie forze e far sentire ancora più forte la propria voce, quando tutto questo sarà finito.
I lavoratori dello spettacolo, esclusi da ogni tutela
«La questione si sta dipanando a livello nazionale – riferisce l’alessandrino Elio Balbo, professione tecnico luci, portavoce del coordinamento regionale piemontese –: ci siamo dati una forma di coordinamento territoriale fin da subito, da fine febbraio, quando sono stati vietati gli assembramenti e sospesi gli spettacoli degli enti pubblici. In centinaia ci siamo trovati a casa, completamente senza reddito. La debolezza dei nostri contratti di lavoro, per la maggior parte intermittenti, ci ha condannato storicamente all’esclusione dalle forme di tutela comuni alla maggioranza dei lavoratori. In questo frangente, poi, rischiamo di non avere nemmeno gli ammortizzatori specifici messi in campo dal governo per arginare i danni dell’emergenza sanitaria, per un cortocircuito normativo. Il punto fondamentale della questione è che lavoriamo a chiamata, il nostro è lavoro “intermittente”. Le cooperative, che normalmente sono gli intermediari del nostro settore, non possono accedere spesso nemmeno alla cassa integrazione in deroga, tra un decreto governativo oggettivamente scritto in modo frettoloso e gli accordi quadro della Regione».
Serve una nuova impostazione a tutto il sistema dello spettacolo
La crisi non durerà poco: è necessario cominciare a ragionare per assicurare un futuro al settore. «Agendo di concerto con tante altre realtà territoriali, dall’Emilia-Romagna al Veneto, Toscana, Umbria, in primis dobbiamo guardare all’immediato futuro: questa crisi non sarà breve nel tempo – continua Balbo –. È probabile che seguirà un’importante fase di recessione economica. Poi, con il divieto di assembramenti saremo presumibilmente gli ultimi a ricominciare a lavorare, e siamo stati anche i primi a smettere. Come in tutte le fasi di recessione, nel comparto culturale a farne le spese non saranno soltanto i grandi attori, ma anche i piccoli locali, le piccole associazioni culturali che compongono e animano il tessuto sociale della provincia. Stiamo cercando di organizzarci prima di tutto per accedere agli ammortizzatori sociali, e successivamente trovare un sistema per assicurare la sopravvivenza a lavoratori e lavoratrici che non possono essere sacrificati sull’altare della precarietà. Potrebbe servire un “reddito da quarantena” che è un concetto che è già entrato nell’agenda politica di questi giorni. In ultima istanza, vorremmo unire il movimento, condividere esperienze, istanze, saperi per formare una nuova consapevolezza e portare avanti lotte sindacali che non sono più procrastinabili per il nostro settore. Coordinandoci a livello nazionale, siamo intenzionati a mettere a punto una proposta da presentare, passata l’emergenza, per dare una nuova struttura al settore, modificare i contratti nazionali. L’Adl Cobas ci sta aiutando mettendo a disposizione avvocati e consulenti del lavoro: utilizzando il contenitore del sindacato di base, vorremmo unire i lavoratori dello spettacolo e ripensare al sistema, magari prendendo spunto dalla realtà di Francia, Inghilterra, Germania, Belgio. Tutti Paesi con esperienze più mature dell’Italia in tema di organizzazione del lavoro nel mondo dello spettacolo. In particolare in Francia, con una lotta storica, sono riusciti a far riconoscere dal punto di vista legale la categoria del lavoro “Intermittente”. Questo è un risultato che sarebbe importantissimo ottenere anche in Italia»