«Guardare agli inizi, per una comunità con “laici saggi” e presbiteri dediti alla Parola ed alla preghiera»

Nell’omelia del vescovo sulla pagina degli Atti degli Apostoli che narra di una comunità in cui si differenziano i compiti

«Cercando di confrontarci con le scelte della primitiva comunità cristiana, possiamo domandarci perchè noi cristiani del terzo millennio dobbiamo riprendere in mano questo libretto (gli Atti degli Apostoli) scritto nel primo secolo, in un contesto e in una lingua così diversi dai nostri – così ha esordito il vescovo mons. Egidio Miragoli nell’omelia della messa celebrata al Santuario domenica sera, in diretta streaming, soffermandosi soprattutto sulla pagina degli “Atti” quale prima lettura ove Luca racconta della comunità cresciuta di presenze ove però ci sono malcontenti tra chi è i lingua greca e chi è di lingua ebraica per il servizio di carità alle vedove ed ai bisognosi, quindi si coglie la necessità di incaricare sette figure destinate a queste incombenze, i primi diaconi, con gli Apostoli che si dedicano alla Parola ed alla preghiera –. Perchè guardare indietro? Perchè “ritornare”; in un certo senso a Gerusalemme? Significa tornare a quegli avvenimenti, piccoli per la storia del mondo, ma che contengono in maniera essenziale e genuina ciò che Dio ha voluto porre come fonte della nostra identità di cristiani, cioè di discepoli di colui che è Via Verità e Vita»….

DALLA CHIESA DI IERI ALLA CHIESA DI OGGI

«Questa pagina degli Atti degli Apostoli cosa ci suggerisce? Come possiamo attualizzarla? Cosa vi possiamo e dobbiamo cogliere per la Chiesa di oggi, per le nostre comunità? Già la circostanza d’avvio, in qualche modo pare ben adattarsi ai nostri giorni: “aumentava - scrive S. Luca - il numero dei discepoli” cioè la comunità si allargava, e le necessità cui far fronte si moltiplicavano. Oltre che sotto il profilo strettamente numerico, certo sotto quello della complessità dei problemi cui dare risposta, anche le comunità cristiane di oggi esigono una presenza sempre più attenta e razionalmente impostata. I tempi cambiano velocemente, alcuni problemi restano come costanti, ma tante situazioni emergono nuove. Senza contare le situazioni improvvise e imprevedibili, come quella che stiamo vivendo. Per mille motivi, poi, le forze non sono molte: la società si è secolarizzata, i seminari contano presenze quasi simboliche, i sacerdoti giovani scarseggiano e gli anziani muoiono. Vedere solo nei laici la soluzione dei problemi della Chiesa di oggi e di domani, significa dare per scontate una serie di condizioni che in realtà non esistono, quali, ad esempio: che le comunità siano ricche di laici desiderosi di mettersi in gioco, che i laici abbiano tempo disponibile per fare ciò che i preti non fanno o non vogliono più fare, che i laici disponibili siano preparati e capaci di sostenere alcuni ministeri. È fin troppo evidente che occorre, ed è doverosa, la collaborazione dei laici, ma questa è una situazione che non si improvvisa e che comunque richiede uomini di fede, quella fede che andiamo denunciando smarrita o intiepidita. Nel frattempo le energie disponibili vanno gestite con intelligenza e sapienza. Gli Apostoli, abbiamo visto, puntarono decisamente sulla divisione del lavoro apostolico: alle mense destinarono sette uomini di buona reputazione mantenendo per sè stessi la responsabilità principale, il dedicarsi alla preghiera e al ministero della Parola. E sappiamo con quanta generosità, senza risparmio di energie. La loro scelta non fu certamente un fuggire da fatiche o uno scaricare fastidi»…

QUALCHE IDEA DA CORREGGERE

«Azzardo pertanto qualche immagine e qualche interrogativo: non dovremmo forse avere il coraggio di correggere un poco la figura del prete? Non sarebbe più in linea con gli Atti degli Apostoli – e naturalmente col Vangelo – un sacerdote dalla vita più ritirata, più dedita alla riflessione, alla preghiera? Non ci sarebbe forse bisogno di un sacerdote di cui la gente sapesse che spesso lo si può trovare? Non dovremmo pensare il prete come uomo di Dio che fa ciò che ad altri non è possibile nè giusto chiedere, cioè meditare la Parola, annunciarla con dignità, porsi quale punto di possibile riferimento spirituale? Forse ci siamo ingannati e ci inganniamo presumendo che la nostra epoca richieda preti-manager tutto fare; non c’è forse, invece, più bisogno di un prete che sa incontrare, ascoltare, rispondere? A scanso di equivoci, mi sento di aggiungere che non penso a un prete avulso dalla vita della gente e rintanato nello studio o in sacrestia. Penso sempre e comunque al prete-pastore, guida della comunità, presente, interamente dedito alla sua gente – solo per una volta mi si permetta di dirlo: “con l’odore delle pecore” addosso – ma con una chiara consapevolezza di ciò che gli è specifico, di ciò che solo lui può dare e deve dare».

LAICI “PIENI DI SPIRITO E DI SAGGEZZA”

«Ma perchè questo possa accadere, occorre tuttavia anche una forte collaborazione da parte dei laici. Abbiamo visto: alle mense qualcuno doveva pur provvedere, e gli Apostoli scelsero sette persone fidate. Li cercano con delle caratteristiche ben precise: “di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza”. Del resto, lo sappiamo, chi agisce per conto della Comunità e a nome della Comunità trasmette sempre anche un’immagine della Comunità stessa. Ebbene, a quelle mense, possiamo oggi sostituire alcuni organismi diocesani, le Caritas, indubbiamente, il gruppo famiglie, il gruppo animatori, l’oratorio, la catechesi o mille altre nostre realtà e iniziative. Il discorso non cambia. Spesso qualcuno pensa che nulla possa camminare e procedere se non grazie alla presenza del sacerdote; una riunione, in parrocchia, ci pare meriti rispetto pieno solo e se vi partecipa il sacerdote. Il calo numerico dei sacerdoti, ma ancor prima, il ripensamento del ruolo dei laici alla luce della loro vocazione battesimale dovrebbero invece indurci a una svolta decisa. Preti e fedeli dobbiamo capire fino in fondo che alcune mansioni, anche di grande responsabilità, possono competere ai laici, i quali hanno da sentirsi investiti di totale fiducia e da saper agire anche senza il continuo appoggio, meglio, la continua presenza del sacerdote. Naturalmente tutto questo presuppone persone fortemente motivate, animate e sostenute dalla fede, di grande equilibrio e di spessore spirituale insieme. L’impegno di responsabilità nella comunità non può, infatti, basarsi su improvvisazione o adesione superficiale o saltuarietà. Anche questo è segno di serietà. Perciò, come ultimo interrogativo, chiedo a me e a voi se stiamo facendo tutto il possibile per qualificare sempre di più le persone della comunità, per renderle capaci di assumersi responsabilità, ovvero di vivere la loro vocazione. È il tema della formazione dei laici. E ai laici, pertanto, chiedo direttamente: come curate la vostra spiritualità e la vostra competenza in campo ecclesiale? A ben guardare, quindi, il passo degli Atti degli Apostoli esorta ad un innalzamento della qualità complessiva della vita comunitaria, e segnala come via maestra la diversificazione delle funzioni. Ciascuno di noi ha una sua vocazione e un suo compito nella Chiesa, ognuno è chiamato ad essere “pietra viva” per la costruzione dell’edificio spirituale. Nel mio tentativo di attualizzazione ho posto solo qualche interrogativo e qualche suggestione tanto sulla posizione del prete quanto su quella dei laici. Naturalmente il discorso va ripreso in altre sedi, e credo che la cosa sarebbe assai utile per le nostre comunità cristiane di oggi e di domani».

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