“Sarà la musica che gira intorno/quella che non ha futuro” cantava Fossati nel suo pezzo più celebre. Non è un caso che il nuovo coordinamento degli artisti del mondo della musica e dello spettacolo abbia scelto proprio “La musica che gira” come nome della nuova realtà: lo scopo è proprio quello di incominciare a costruire un futuro più solido al mondo della musica, un comparto che, come quello più generale dello spettacolo, ha sempre pagato carissima la sua natura frammentaria, le sue divisioni. Non è un mistero che la cultura e le arti performative in generale sono percepite in Italia come un orpello, un lusso, non certo un bene essenziale. Lo ha involontariamente confermato anche il premier Giuseppe Conte, con la sua incauta aff ermazione della scorsa settimana, che ha fatto nascere un’ondata di indignazione da parte degli artisti. L’intento del premier non era certo denigrare quei professionisti «che ci fanno appassionare e divertire», ma è abbastanza evidente a tutti quanto sia riduttiva questa definizione e quanto possa essere mortificante per dei lavoratori sentirsi definire in questo modo in una conferenza stampa ufficiale, per di più in un momento di estrema gravità per la nazione. Una sede istituzionale a cui tutti gli italiani, tutti i settori produttivi, erano rivolti per avere delle risposte. Anche per questo ha fatto così male: liquidare il lavoro del settore con una frase così superficiale è stato un pessimo segnale nei confronti di migliaia di famiglie che più di altre stanno pagando il prezzo di questa crisi. Come è già stato scritto un po’ ovunque, sono stati i primi a chiudere bottega e presumibilmente saranno gli ultimi a riaprire. Anche quando riapriranno, non sarà come prima. Per chi di “assembramenti” vive (teatri pieni, piazze colme, stadi affollati, auditorium gremiti) sarà possibile continuare ad andare avanti nonostante le platee dimezzate e i provvedimenti che presumibilmente, ridurranno il pubblico? Uno dei grandi nodi che il settore dello spettacolo deve affrontare, e che è un tema che tocca diverse attività anche se spesso non viene colto immediatamente dall’opinione pubblica, non è tanto se e quando poter riaprire a norma di legge, ma se la ripartenza abbia un senso. Per un organizzatore, che si occupi di un concerto a San Siro, di un’opera al Teatro Regio, o di una recita di teatro dialettale al salone polivalente, i ricavi devono giustificare le spese, essere sostenibili: se le platee vengono ridotte considerevolmente è evidente che questo non sarà possibile. Per di più si sta parlando di un settore che è arricchimento ma è anche intrattenimento: ergo la piacevolezza dell’esperienza è un punto fondamentale della stessa. Se le restrizioni imposte sono troppo stringenti e invasive la gente potrà fare tranquillamente a meno di andare a teatro o a un concerto, scegliendo di affi darsi allo schermo. Per non parlare dell’aspetto sociale dello spettacolo dal vivo, e del comparto culturale in generale. Incontrare persone, scambiare idee e informazioni, conoscersi non è certo una componente secondaria: rinunciarvi significa perdere parte del senso stesso dell’evento culturale.
La cultura in quarantena
La domanda che il comparto culturale si pone in questa fase non è tanto quando ripartire, quanto piuttosto se ripartire