Messa crismale: “Mandati ai fratelli in tempi inediti. Conta l’essenziale. Ci vuole pazienza”

Il vescovo in cattedrale a Piazza: “Tanti chiedono lumi sui campi estivi, sulle Comuneioni, sulle Cresime. Le risposte verranno di volta in volta!”

In una celebrazione che il vescovo ha definito “atipica”, ma ugualmente significativa e ricca di contenuti preziosi per il presbiterio diocesano e per ciascun ministro ordinato, si è vissuta in cattedrale a Piazza, giovedì mattina 28 maggio, la Messa crismale che non si è potuta condividere il Giovedì santo, mentre era in corso il lock-down in ragione delle misure anti-contagio. Un buon gruppo di sacerdoti e diaconi, adeguandosi alle norme previste, quindi un po’ sparpagliati nella navata del Duomo, muniti tutti di mascherina, ha rinnovato le promesse sacerdotali, facendo memoria della propria ordinazione e riflettendo sull’identità e sulla missione del ministro ordinato stesso, nonché pregando gli uni per gli altri, nell’appartenenza alla medesima fraternità sacerdotale. Nella stessa liturgia solenne ma anche sobria si sono benedetti gli oli ed il crisma, ad indicare l’identità del seguace di Cristo e la sua missione, secondo il mandato specifico nei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine.

«Ci ritroviamo, finalmente, per la Messa crismale, atipica come tante cose, di questi tempi – ha detto il vescovo mons. Egidio Miragoli, nell’omelia –. Non avviene il Giovedì santo, giorno che colloca questa celebrazione in un preciso contesto, che la valorizza, quasi la illumina. Ma mi piace anche pensare che – situata in un giovedì diverso – essa possa brillare di luce propria, per tutto il suo valore. Non siamo neppure a ranghi completi: gli anziani devono stare un po’ appartati; nelle diocesi grandi addirittura è presente solo una rappresentanza del clero, data la riduzione dei posti fruibili; noi stessi siamo sparpagliati e distanti nella navata (esattamente l’opposto di ciò che significa essere presbiterio) e non avremo modo di condividere poi un momento di festa. Ciò che conta, però, è l’essenziale. In questi mesi, forse, l’abbiamo imparato, anche a costo di alcune privazioni. E oggi l’essenziale è che ci ritroviamo per la prima volta dopo diversi mesi e lo facciamo celebrando una Messa particolare, la Messa crismale, memoria e ringraziamento della nostra ordinazione, memoria e ringraziamento del nostro essere entrati a far parte di un presbiterio. Sono aspetti tra loro inseparabili. Non c'è ordinazione che non inserisca anche in un corpo presbiterale; non c’è corpo presbiterale senza l’ordinazione come condizione necessaria; e non ci può essere ringraziamento vero che non sia – oltre che per l’ordinazione – anche ringraziamento per una fraternità presbiterale».

IL CRISMA: UN OLIO CHE CI CONNOTA
«Di tutto questo è simbolo ed immagine il Crisma, da cui la stessa Messa prende nome – ha continuato il vescovo –. In questa Eucaristia domina il segno del Crisma, dell'olio profumato, olio consacrato, segno dell’unzione interiore dello Spirito Santo – ha proseguito il vescovo –. Si tratta dell'olio cantato nella Bibbia, quello che unge e consacra sacerdoti, re e profeti. Anche stando alle sole letture di oggi, esse ci rimandano a Isaia, a Davide, a Cristo; ma quell’olio è anche l'olio che ci ha consacrati nel Battesimo, nella Cresima e nell’Ordinazione, configurandoci così a Cristo, alla sua identità e alla sua missione. Grazie ad esso, dovremmo pronunciare con consapevolezza e gioia le parole definitive di Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Quell’olio che ci ha unti ci distingue ontologicamente, ci fa unici, nel cuore e nello spirito: verità bellissima e santa. Verità, tuttavia, che chiede di non fermarsi a se stessa. Verità che deve comunicarsi agli altri, riguardarli. Abbiamo ascoltato Isaia dire: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti”. E poi: “Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore”. D’altronde, è lo stesso olio cantato nel salmo 133, testo sulla gioia dell’amore fraterno, che possiamo intendere fra di noi ma anche con la nostra gente. Il testo recita: “Ecco, com'è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste”. Nulla nella Parola di Dio è casuale. Che l’olio scenda dalla barba fino al collo del sommo sacerdote, è dettaglio importante, perché lì egli portava il pettorale, una borsa decorata da dodici pietre preziose con le lettere iniziali dei nomi delle dodici tribù d’Israele. I ministri del culto, insomma, portano sempre con sé il popolo, oppure la loro azione liturgica, il loro essere “unti del Signore”, è ben poca cosa».

CONSACRATI PER UNA MISSIONE
«Ma se tutto ciò è vero, grazie all’olio crismale, ovvero, all’azione dello Spirito Santo, noi siamo dei mandati, siamo investiti di una “missione” – ha aggiunto il vescovo –. Ancora Isaia, con la potenza della sua scrittura dice: “Lo spirito del Signore Dio […] mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri”. Certo, questo è un tempo particolare. Lo dicevo prima. Lo dice di per sé la Messa crismale recuperata a fine maggio. Essere mandati oggi è diverso anche solo da quattro mesi fa. Figurarsi rispetto a venti o cinquant’anni fa, cioè a quando i confratelli che festeggiamo hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine. Non a caso, credo giusto riconoscere come in questo periodo il nostro servizio sia continuato in modo spesso creativo ed inedito; come non sia venuta meno la nostra vicinanza alle persone che ci sono state affidate, sia pure passando attraverso gli strumenti che la tecnologia ci offre, dirette streaming, telefonate, commenti al Vangelo offerti sulle chat, video, e così via. Ma ora? Ora che pare riaffacciarsi una prospettiva di ritorno alla normalità? Mi sembra saggio interrogarci, in questo giorno, su come siamo chiamati da qui in avanti a portare il lieto annuncio, in quali forme, modalità. Tutto ciò che è stato tentato nei giorni scorsi è da abbandonare? Cosa è da valorizzare ancora per il futuro? Quali sono le forme che il nostro tempo esige affinché possiamo fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, consolare gli afflitti? Le situazioni che richiedono la nostra presenza fraterna sono sempre le stesse; le condizioni in cui possiamo renderci presenti sono mutate e non sappiamo bene che forma assumeranno nei mesi futuri. Per questo, credo che tutti dovremo fare esercizio di quella virtù preziosa che è la pazienza».

ACCETTARE SAPIENTEMENTE LA PROVVISORIETÀ
«Potrebbe sembrare qualcosa di banale: non lo è affatto, invece – ha concluso il vescovo –. Perché quando si naviga a vista, quando si lotta con un nemico subdolo e sconosciuto, quando ci si affida ad indicazioni di esperti che a loro volta aggiornano le loro posizioni e affinano le loro conoscenze via via, non si possono né pretendere né approntare risposte rapide e definitive. Occorre invece possedere una pazienza che racchiuda l’umiltà di chi attende, la sapienza di chi accetta la provvisorietà, la prudenza e il discernimento di chi ascolta, valuta e poi decide, quando può e sa. Tanti di voi chiedono lumi sui campi estivi, sulle Comunioni e sulle Cresime. Capisco l’ansia di sapere, anche per poterlo comunicare ai fedeli. Ciò che si può fare e dire cerchiamo di farlo nel modo più chiaro e tempestivo. Ma le risposte verranno di volta in volta: impossibile darle tutte insieme, e subito. Inutile agitarsi o ingenerare malumori. Bello, invece, pensare che anche a noi è chiesto di saper aspettare, dimensione propria di una religione incarnata nei fatti della Storia, come è la nostra. “Daremo frutto a nostro tempo”, come il giusto del Salmo 1. L’importante sarà farci trovare pronti, quando necessario. Scopo in vista del quale, credo, sarà prezioso e bello anche confrontarci, scambiandoci quanto abbiamo pensato e sperimentato nei mesi di chiusura forzata. Questa potrebbe essere una risorsa offerta e insieme pretesa dal nostro tempo. Ogni pausa, ogni interruzione della routine fa scattare un processo di ripensamento. Ogni processo di ripensamento pone in evidenza cose che dovremmo mantenere, della routine interrotta, e cose che andrebbero cambiate. Condividere i risultati delle nostre valutazioni credo che potrebbe aiutarci a crescere. Al contrario, tacere e magari voler riprendere tutto semplicemente com’era, anche con i suoi difetti e i suoi punti deboli, significherebbe perdere un’occasione storica. Ed è soprattutto per questa ragione che intendo, nelle prossime settimane, incontrarvi nelle varie Zone pastorali, come già condiviso con i vicari zonali. Fra poco rinnoveremo le promesse sacerdotali e pregheremo gli uni per gli altri, non senza ricordare chi è stato dei nostri e ha lasciato il ministero, gli anziani e ammalati, e chi, “sacerdote in eterno”, è ancora unito a noi nel mistero della comunione dei Santi. Per noi stessi e per tutti loro, ma soprattutto grazie al Signore e per la nostra gente, possa questo giorno confermarci nella nostra identità, nella nostra fraternità e nella nostra missione, mai come oggi bisognosa di coraggio, fantasia e discernimento».

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