Maturità Pandemica / Non ho tema del Covid

La prova di maturità è, non solo in Italia, un rito di passaggio cruciale nel mondo scolastico. Introdotta, come noto, dalla riforma Gentile nel 1923 (tra tre anni ne celebreremo il centenario), uno dei primi atti del regime fascista salito al potere, aveva già visto altre eccezioni, poco dopo la sua istituzione. Dal 1940 al 1943, difatti, in ragione della sciagurata partecipazione dell’Italia alla seconda guerra mondiale, l’esame era stato semplificato e poi sostituito con un semplice scrutinio finale. Ma a parte questo evento epocale nella storia del ‘900, mai si era derogato al suo svolgimento, nonostante i correttivi portati dalle riforme. Due quelle della statica prima Repubblica: la prima nel ’52 per ripristinare ufficialmente il sistema gentiliano, una nel ’69, all’interno di una generale rivoluzione culturale degli anni ’60. Sette invece nella frenetica seconda Repubblica, dal 1994 a oggi: ma senza intaccare alcuni fondamenti. Primo dei quali, identico per tutti, la Prima Prova: il tema di italiano. Modificato spesso e volentieri dalla riformite acuta di questi tempi (l’ultima volta l’anno scorso, per renderlo più analisi del testo e meno espressione del pensiero del candidato) ma in fondo sempre simile nella sostanza. Quest’anno, invece, sparisce la prova di scrittura, fagocitata in un orale dai confini ancora indefiniti. Il tema era divenuta un’analisi, che ora diverrà (speriamo eccezionalmente: anche se in Italia poco è stabile come il provvisorio) una analisi orale, condotta su un testo scelto tra quelli affrontati nel corso dell’anno. Una perdita comprensibile nell’eccezionalità, ma di cui, spero, si capisca al Ministero la gravità se dovesse divenire routine (il Covid, virus sfuggente e mutevole, non promette nulla di certo su questo fronte): si andrebbe a intaccare la capacità di elaborazione del proprio pensiero, già inficiata, a mio avviso, dal passaggio dal tema classico (sia pure nella forma, corretta, dell’”articolo di giornale”, che pone vincoli di leggibilità e chiarezza comunicativa) all’analisi del testo (che, su testi noti, rischia di divenire mera ripetizione di quanto spiegato e studiato sui libri di testo). Naturalmente, non ho idea di come altro si potrebbe fare, in assenza della possibilità di garantire uno scritto in sicurezza e senza possibilità di copiatura. Magari si potrebbe dedicare il – pochissimo – tempo destinato all’analisi (un quarto d’ora?) a chiedere all’allievo una prova di scrittura essenziale. Una scaletta. Una mappa concettuale. Un titolo-sottotitolo-occhiello di giornale. Una didascalia efficace a una fotografia. Uno slogan pubblicitario per una poesia d’Ungaretti. O magari, ecco, trovato! Un meme. In questo modo, anche svolgendo l’esame da casa, siamo sicuri che le vecchie generazioni di boomer (appostati ovunque non batta lo sguardo implacabile della videocamera) non saprebbero suggerire.

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