Il famoso principio di Warhol per cui chiunque può essere famoso per quindici minuti non è mai stato vero come nella rete. Anzi, anche di più: a numerose persone è capitato in modo casuale di raggiungere una fama universale e duratura senza nessuna intenzione e sforzo da parte loro, apprezzandolo o meno. Il concetto di meme è precedente l’internet attuale, e viene introdotto da Richard Dawkins nel suo “Il gene egoista”, nel 1976. I meme internettiani appaiono attorno al 2000, con i Demotivational Posters (1998) e poi con le “immagini macro” (definite così nel 2004). All’interno di tale sistema, le vere celebrità dei meme si affermano negli anni ’10, con l’età dei social network su internet nel pieno del suo sviluppo. Zoe Roth (in una foto del 2004) diviene Disaster Girl, mentre da bambina osserva compiaciuta una casa in fiamme. Sammy Griner diviene celebre con la sua foto da bambino nel 2007, con il pugno stretto in un’espressione determinata. L’Italia non fa eccezione, con star locali, come William Solo che crea la frase “può accompagnare solo” (2013), che da lì entra nei modi di dire, inizialmente collegato alla sua immagine a un motoraduno, poi passata direttamente nel linguaggio. Tra gli italiani, un caso che assurge invece alla memetica globale è quello dell’attrice Silvia Bottini. Un suo fotogramma diventa nel 2012 la “first world problems girl”, una ragazza che piagnucola per problemi inesistenti. Altri meme famosi (sempre nati attorno al 2012) sono ad esempio “Hide the pain Harold”, un anziano signore al computer con una malcelata espressione sofferente, la “fidanzata troppo attaccata”, Laina, il pessimo amico Steve, la “ragazza noiosa su facebook”, Bad Luck Brian (un ragazzo bruttarello che si presume sfortunatissimo). Ogni fenomeno sociale sembra generare un meme che ne diviene il suo interprete: tornando in Italia, la rabbia contro la casta si identifica con la signora che grida “Maledetti!” ai politici, l’indifferenza verso il Coronavirus e le misure precauzionali in quella che esclama “Non ce n’è Coviddì!”. Una fama non pianificata, che in alcuni casi dura nel tempo, in altri declina, scalzata da nuovi meme: ma, di solito, non genera particolari vantaggi nell’originale. Il meme, infatti, diviene un archetipo che trascende la persona da cui deriva: resta la gloria di essersi fissati, anche solo per poco, nell’immaginario collettivo.
CULTURE CLUB 51 - 15 MINUTI
- L'influencer: chi sfrutta la vetrina per creare un brand - PAOLO ROGGERO
- La rete come opportunità di carriera - VITER LUNA
- Lo sconosciuto: diventare un meme- LORENZO BARBERIS
- La gogna mediatica: vittime e carnefici della viralità - MARIKA MANGINI
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