A San Domenico di Alba, Kentridge riflette sul “Respirare”

La Fondazione Crc e il museo d’arte contemporanea di Rivoli presentano una mostra dedicata al sudafricano William Kentdridge: due videoinstallazioni nell’inedito spazio di una San Domenico spoglia e in penombra

Il presidente della Fondazione Crc, Giandomenico Genta, e la curatrice della mostra, Carolyn Christov-BakargieveA settembre 2020 intitolare una mostra “Respirare” è un atto che non può passare inosservato. Concetto semplice, basilare della nostra esistenza, il respiro si porta dietro, di per sé, un’ampia gamma di significati e di suggestioni. A questi si aggiunge il vissuto degli ultimi sei mesi, stretti nella morsa di una malattia che ha soffocato centinaia di persone e nel pieno della mobilitazione del movimento “Black Lives Matter” in America. La lotta contro il razzismo, scatenata dalla morte di un afroamericano, George Floyd, privato del respiro dalla mossa costrittiva di un poliziotto. Mai come in questi giorni, con queste ed altre ferite ancora aperte sulla nostra pelle, quel titolo può avere forza. La scelta della curatrice Carolyn Christov-Bakargieve di William Kentridge per l’esposizione di Alba è così indicativa dell’attualità delle due installazioni, pur se non realizzate nell’immediato passato, inserite nel contesto della chiesa di San Domenico ad Alba. L’esposizione, organizzata dalla Fondazione Crc di Cuneo in collaborazione con il Castello di Rivoli, è una singolare immersione in due visioni. Nello spazio in penombra delle architetture neogotiche della chiesa, lo spettatore si trova in fronte a uno schermo bianco, su cui scorrono sagome e ombre scure.

Il presidente della Fondazione Crc, Giandomenico Genta, e la curatrice della mostra, Carolyn Christov-Bakargieve

È arte povera, animazione povera, come l’ha definita la stessa Christov - Bakargieve, in ragione della sua natura: sagome in controluce, realizzate con carta nera, animate con un misto di stop motion e movimenti davanti alla macchina. Eppure c’è una forza primigenia proprio nella semplicità grottesca di quelle immagini, che assumono una potenza ancestrale nel momento in cui si dispiegano davanti all’obiettivo. Raccontano un mito, che è un paradigma del mondo: il prepotente abbattersi delle avversità che costringe le popolazioni a reagire, spesso a fuggire, mettendosi in salvo, portando sulle proprie spalle un bagaglio di vissuti e di tradizione da trasferire altrove. Questo raccontano le figurine danzanti di Kentridge, e una riflessione sul respiro è proiettata su un muro laterale da un confessionale spostato per l’occasione. Un flusso d’aria invisibile, che sembra continuo e inesauribile, in cui viaggiano incessanti le mani dell’autore, solleva e ridispone un nugolo di petali di carta nera, che si ridepositano tratteggiando ogni volta la sagoma di un volto, di un oggetto, in un’apparente, consapevole, casualità. La presentazione, nel pomeriggio di domenica ad Alba, si conclude con una diretta da Johannesburg, nel corso del quale Kentridge risponde alle domande dei presenti. «Quest’opera è nata mentre stavo lavorando per il teatro – ha spiegato – creavo delle sagome, delle animazioni per la scena e ho pensato di renderle protagoniste di un lavoro a sè». Tipico esempio del metodo di lavoro di William Kentridge, come ha sottolineato la stessa curatrice, un percorso caratterizzato da continui scarti: la curiosità dell’artista lo rende protagonista di continui fenomeni di serendipità, approfondendo spunti e idee che lo attraversano in ogni percorso di ricerca e creazione.

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