L’Islanda e la musica/Il ritorno di Jonsi

Il front man dei Sigur Rós torna con un album solista a 10 anni dall’esperienza di Go

Ci sono mondi musicali che appaiono lontani o sconosciuti ma che per un certo periodo hanno avuto accesso al grande pubblico e al mainstream. Sebbene il post-rock rappresenti come genere una di quelle nicchie, o una parentesi breve nella storia della musica, nella fase finale del rock dell’ultimo millennio ha portato all’attenzione del grande pubblico un nutrito numero band di valore assoluto come Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Slint o Tortoise. A queste si aggiungono poi gli islandesi Sigur Rós, forse la band più conosciuta, capace di soppiantare anche un’istituzione come Bjork. Con tre album come Ágætis Byrjun, ( ) e Takk, accompagnati dal documentario Heima, la band si è ritagliata uno spazio importante nel panorama mondiale, riconosciuta come tra le più influenti dell’epoca. La figura traino e che fu autentico fulcro catalizzatore di tutte queste attenzioni è Jón Þór Birgisson, meglio conosciuto come Jónsi. Il nucleo della band, le sonorità, così come il nome stesso, sono farina del suo sacco, ma altrettanto vero che senza il basso dell’amico di una vita Georg Hólm, il pianoforte di Kjartan Sveinsson e la batteria di Orri Páll Dýrason che nel 1999 sostituì l’altro amico d’infanzia Ágúst Gunnarsson, difficilmente la band avrebbe raggiunto un equilibrio dell’estensione sonora. I Sigur Rós sono stati una band in cui Jónsi ha potuto proliferare, ma in cui l’intero collettivo ha sempre definito progetto artistico ed estetico: dall’idea di rock al modo di vivere le tradizioni (cantare in islandese o in una sorta di esperanto che Jonsi chiama vonlenska), servirsi – tra i primi – delle immagini, non solo per proporre video-clip, ma per creare autentici mediometraggi apprezzati da pubblico e critica.
Definire il cantante e chitarrista dei Sigur Rós come una one man band, a cui ruotano attorno ottimi musicisti, è assai riduttivo, nonostante la sua spiccata indole istrionica (sembra impossibile per un islandese come lui). Quest’elemento si è constatato con l’andare del tempo quando Jónsi con il compagno Alex nel 2009 pubblicarono Riceboy Sleeps, e ancora di più, alla prova del nove con Go (2010) sua prima opera solista. Quel disco pur non nascondendo il background di partenza portava in risalto nuove e inaspettate sfumature, dalla ricerca di sonorità più ritmiche alle atmosfere decisamente più colorate.
Oggi, nonostante alcuni lavori di minore attenzione e qualche cammeo in ambienti meno praticati (una versione di The Rains of Castamere nella quarta stagione di the Game of Thrones), parlare di una nuova uscita (il 2 ottobre sarà pubblicato il nuovo album Shiver) per Jónsi viene accolto come un gradito ritorno, che incuriosisce e di cui si vive in attesa. Quanto ascoltato in anteprima dei features del disco (assai poco, visto che i brani pubblicati sono solo tre) non lascia trasparire grandi novità, ma come spesso accade la reale cifra di un disco non si misura esclusivamente nell’effetto sorpresa, ma soprattutto nella voglia di ripetere gli ascolti, ed in quello che ci lascia dopo; arte di cui Jónsi ha già saputo dare prova.

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