Cos’hanno in comune un cantante della scena rock (Cristiano Godano) che accusa Spotify, la notizia di 80 produzioni in cinque giorni, e un festival di provincia (Encode)? Apparentemente poco, se non l’argomento di base; in realtà questi temi hanno un elemento comune, tutt’altro che scontato e che si potrebbe sintetizzare con una provocazione: volete ancora musica? Il cantante di MK a fine luglio e fine settembre ha pubblicato per Rolling Stone due articoli, scagliandosi contro le piattaforme di streaming, ree di impoverire il mondo della musica, non sviluppando una cultura dell’ascolto e un ampliamento del mercato discografico, ma al contrario facendo sprofondare un sistema logoro in cui gli artisti, se non una sparuta minoranza, stentano a sostenersi economicamente. Secondo Godano la gestione dei gusti, attraverso i sistemi di profilazione, non aiuta ad ampliare le scelte degli utenti, ma finisce con il rendere la musica “underground” ancor più di nicchia, e se prima di Internet anche gli artisti di mondi musicali meno frequentati potevano vivere con dignità, oggi in pochi se lo possono permettere. E la situazione è talmente critica che un sondaggio fatto tra addetti ai lavori sostiene che più del 60% dei musicisti inglesi starebbe meditando di cambiare lavoro. Il senso di spaesamento dato da questa notizia cresce in modo esponenziale quando ci si trova davanti ad un altro fatto che ha del paradossale. Se da una parte, neanche tanto lontana, una fetta di suono potrebbe venir meno, nel nostro Paese tra la fine del mese di settembre e l’inizio di ottobre si sono segnalate 80 nuove produzioni (arrivate alla redazione di Rockol tramite mail di uffici stampa). Se mettiamo insieme le due campane verrebbe da chiedersi chi ascolterà questi dischi e soprattutto quante volte questi dischi saranno ascoltati, oppure ancora, quanti di questi titoli avrebbero meritato qualche ascolto in più, ed invece si perderanno nel brusio caotico di un consumo bulimico? Si dovrebbe cominciare a parlare di ascolto responsabile e consapevole, anche nella musica di intrattenimento, un po’ come una trentina di anni fa si fece attorno al tema del cibo. A quest’idea di musica in formato “slow” c’e chi da anni la considera, e sono gli organizzatori dei piccoli festival, quelli in maggior sofferenza in quest’epoca di lockdown. Sono numerosi anche nel nostro territorio e una di queste realtà, che per altro non ha mai disdegnato l’elemento ludico e di intrattenimento, e l’Associazione Culturale Origami che sabato 17 ottobre riporterà a Cuneo (Auditorium Foro Boario) l’Encode Festival: anche in questa edizione, come oramai da qualche anno, ci si dedica alla scoperta di suoni nuovi, principalmente in ambito elettronico. In un live l’”encore” e quella fase in cui, al termine di una sessione preparata con tanto di scaletta, gli artisti eseguono alcuni brani, capaci di colpire l’attenzione e portare l’ascoltatore ad un livello emozionale superiore. Ecco, mettendo insieme i pezzi del puzzle, un bel modo per trovare la forza di chiedere un encore sarebbe quello di considerare una nuova dimensione slow.
Musica, encore?
Mai come oggi c’è bisogno di un ascolto responsabile e consapevole di musica, termini che sembrano forzati, ma che diventano necessari nell’ipertrofica bulimia consumistica del mondo attuale