LA RUBRICA CHE ABBAIA – Dall’addestramento alla relazione

A cura di GEA

Artù, ospite nel canile di San Michele
Artù, ospite nel canile di San Michele

LA RUBRICA CHE ABBAIA

Un tempo esistevano i centri di addestramento per cani, delle vere e proprie scuole in cui il proprietario consegnava il cane e passava a ritirarlo dopo la lezione. Collari a strozzo, punizioni, coercizione erano gli strumenti utilizzati in questi ambienti dove il cane, messo
in mano ad un addestratore, tornava a casa “modificato”, pronto ad eseguire uno splendido seduto, un resta e una condotta al guinzaglio da far invidia a qualunque corpo militare. Alla fine degli anni ’90 le cose però iniziano a cambiare e si comincia a parlare di “metodo gentile”, un nuovo strumento dove il “rinforzo positivo”, il bocconcino e le moine vanno a
sostituire i metodi coercitivi. Un metodo semplice e di facile applicazione, ancora utilizzato
oggi, che porta ad un risultato immediato ma che può anche diventare dannoso per il cane: la superficialità di questo metodo affonda le sue radici in un postulato che ci riporta agli atroci esperimenti di Pavlov sul condizionamento classico, che vede nel cane una macchina biologica da far funzionare a suon di stuzzichini, dove il comportamento è visto come l’esecuzione di un’azione automatica.

Fortunatamente gli studi sul comportamento animale non si sono fermati a Pavlov
e alla psicologia comportamentale behaviorista e una folta schiera di etologi e scienziati del comportamento animale ha dato vita ad un altro tipo di approccio denominato “cognitivo-relazionale-zooantropologico”, dove il comportamento animale viene inteso come uno stato mentale, un’elaborazione delle conoscenze acquisite e sempre in funzione delle relazioni vive nel suo gruppo sociale. In quest’ottica l’apprendimento del cane viene visto come un’evoluzione globale e non come una graduale costruzione di associazioni scollegate spesso fra loro. In questo modo di “vedere” il cane, il proprietario si trova nella posizione di doversi calare nella vita del suo animale come parte attiva, responsabilmente e consapevolmente, attore anch’esso dello sviluppo di una relazione che lo lega al suo amico a 4 zampe. Questo approccio scardina i fondamenti di quella cinofilia prima addestrativa e poi gentilista, perché si sviluppa attraverso un incontro in divenire.

La prima domanda da porsi è: quale motivazione accende l’interesse del mio animale? Ma non date per scontato che sia il cibo l’unica risposta possibile. La parola chiave per capire il proprio cane è “collaborazione”, il cane non è in grado di pensare a se stesso come “IO” ma
per natura egli si percepisce come un “NOI”. Attraverso la reciproca collaborazione, conoscenza e rispetto procede nella vita per raggiungere un comune obiettivo. Per il nostro cane dobbiamo diventare importanti ed interessanti e lo possiamo fare solo attraverso il tempo trascorso insieme interagendo, giocando, condividendo. Laddove il proprietario si dimostri un partner coerente ed affidabile, degno di accreditamento (qualità indiscutibile per permettere al cane di sentirsi sicuro all’interno della relazione), il nostro amico si sentirà naturalmente portato a seguirlo e ad accompagnarlo a soprattutto a preferirlo a qualunque bocconcino. Basterà così uno sguardo di approvazione a sostenere quel legame che da sempre lega l’uomo al cane.

LA RUBRICA CHE ABBAIA. Per Gea Odv – Estelo Anghilante, operatrice zooantropologica

 

Nella foto Artù, ospite del Canile Rifugio 281 di San Michele M.

 

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