Stagione senza sci? La montagna non ci sta. Ora si attende la decisione di Conte

Sabato le stazioni sciistiche hanno riacceso gli impianti: da Artesina e da Prato Nevoso hanno iniziato a diffondersi le immagini, familiari e benauguranti, dei cannoni da neve in funzione. Le temperature sono quelle idonee, è il momento di iniziare a creare il fondo su cui gli sciatori potranno divertirsi e mettere in atto le loro evoluzioni. Tuttavia in quest’anno tragicamente surreale, quello che normalmente è un rito festoso, diventa il simbolo dell’incertezza che sta in queste ore affliggendo tutti gli operatori del comparto della neve, in attesa di sapere quali saranno le disposizioni relative agli impianti.

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«Al momento le stazioni sciistiche stanno lavorando esattamente come se fosse una stagione normale, sono stati eseguiti tutti i collaudi tecnici necessari, gli impianti di innevamento sono pronti. Come operatori della neve stiamo aspettando che il Comitato tecnico-scientifico si pronunci sulle linee guida, che sono state approntate e approvate dalla Conferenza delle Regioni. Finché non avremo il responso del Cts non sapremo cosa ne sarà della prossima stagione», spiega Massimo Rulfi, vice presidente di Arpiet e presidente di Frabosa Ski.

«Per il momento è abbastanza prematuro fare commenti – spiega Gian Luca Oliva, patron della Prato Nevoso Ski –. Secondo me, giorno per giorno ci potranno essere evoluzioni differenti della questione. È chiaro che noi come impiantisti siamo dell’idea che la montagna sia un posto sicuro, si vive all’aria aperta. Siamo disposti a fare ogni sforzo per contenere il rischio di assembramenti e far rispettare le restrizioni. Credo che chi ha in mano questa scelta debba fare una valutazione attenta e tenere conto di tutti i fattori in gioco: dire di no alle stazioni sciistiche significa rassegnarsi a una perdita di più di un miliardo di euro, contando l’indotto e tutte le attività che vivono di montagna. Si calcola che in media per ogni euro di skipass venduto ne ricadano 8 sul territorio. Sarebbe un enorme danno per chi vive e popola la montagna tutto l’anno». In caso di chiusura forzata, la Prato Nevoso dovrebbe fronteggiare costi di gestione stellari: «Avremmo il problema che avrebbero tutte le stazioni. Costi di gestione molto alti, che potremmo ripagare solo aprendo. Spero che si usi criterio: la montagna può tranquillamente gestire il problema. In ogni caso è necessario attendere ancora qualche giorno per avere i dati e vedere il rallentamento nell’evoluzione dell’epidemia. Aspettiamo».

«La proposta che è sul tavolo del Governo, le linee guida della Conferenza Stato-Regioni, è seria, ipotizzando l’apertura degli impianti con delle limitazioni. Abbiamo un protocollo dettagliato con una precisa procedura da seguire, una proposta che ha una sua logica – dice Pietro Blengini, direttore di Artesina Ski –. Io credo che regolamentando gli impianti, promuovendo la vendita online dei biglietti, che ad Artesina è già disponibile, senza passare dalle casse, si possa sciare in sicurezza, tenendo conto che anche l’abbigliamento aiuta. Io sono fiducioso che si possa raggiungere un compromesso, anche perché siamo vicino alla Francia, a poca distanza ci sono altre stazioni sciistiche. Ovviamente che senso avrebbe chiudere il nostro versante e tenere aperto l’altro? Chiaro che una chiusura totale sarebbe un grave danno, anche perché tutto l’indotto che ruota intorno allo sci sul territorio è ingente. Per quanto riguarda Artesina Ski abbiamo una quindicina di dipendenti fissi, a cui tutti gli anni ne affianchiamo una quarantina assunti per la stagione». «Siamo consapevoli che la situazione è complicata – commenta Massimo Rulfi, vice presidente di Arpiet e presidente di Frabosa Ski –. Per questa ragione stiamo lavorando da mesi con gli enti pubblici e gli uffici preposti per arrivare ad una soluzione che possa salvaguardare la sicurezza in primo luogo e in seconda battuta anche gli interessi economici che le decisioni che si andranno a prendere toccheranno».

 


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