La narrazione e l’estetica del Cyberpunk hanno la loro espressione musicale principale nella musica elettronica (basti pensare alla colonna sonora di Blade Runner, di Vangelis, o alle composizioni e all’estetica futuribile di Jean Michel Jarre e dei Daft Punk). La musica elettronica, di fatto, deve molto della sua fortuna e del suo sviluppo a uno dei suoi pionieri, Wendy Carlos. Carlos che fece per primo conoscere alla scena musicale le potenzialità ancora inesplorate dell’ultima invenzione di mr. Moog. Quando “Switched On Bach” esce nei negozi, nel 1968, è un piccolo shock per tutti. Musiche familiari, le partiture iconiche dell’immortale Johann Sebastian ma cantate da voci completamente nuove. Se è vero che non c’è Cyberpunk senza, appunto, cultura punk, che arriverà vent’anni dopo, “Switched on Bach” è proto Cyberpunk in piena regola: i suoni del futuro, ancora sconosciuti, per rileggere alcune delle pagine fondamentali della nostra tradizione musicale. Non è un caso che sarà proprio Carlos a curare la colonna sonora di “Tron”, pellicola fondamentale del filone Cyber. Se lo Steampunk riformula il passato, il Cyberpunk lo rilegge e talvolta riscrive, per rielaborarlo in una visione del futuro. In questa chiave è sicuramente significativo richiamare l’esperimento della Deutsche Grammophone: la collana “Recomposed” infatti induce producers e compositori di elettronica a “riscrivere” note partiture classiche, con procedimenti diversi ed esiti talvolta davvero interessante. Se Arfmann aggiunge un beat e aggiunge qualche suono a “Mars” di Holst, molto interessante è l’esito del lavoro di Max Richter, con una rilettura estremamente pulita e minimale ma estremamente suggestiva di Vivaldi. Soprattutto “Spring 1” che apre il disco è estremamente indicativo della chiave iterativa scelta dal musicista, in grado di dischiudere orizzonti inediti nelle partiture del Prete Rosso. Una riscrittura che sarebbe forse piaciuta a Luciano Berio, amante di esperimenti e giochi compositivi con i materiali del grande repertorio: si pensi a “Rendering” in cui immagina la decima sinfonia di Schubert un po’ come un archeologo ricostruisce l’aspetto di un tempio a partire dai pochi resti rimasti.