Nella villa del banchiere di Carrù, che aiutò due papi

La “Napiona”, dal nome del primo proprietario, rivive negli scatti urbex della carrucese Lorena Durante

"Il giardino d'inverno" della spettacolare Villa del Maggiordomo di Grugliasco, ormai abbandonata

Dal servizio pubblicato su "Unione Monregalese", foto di Lorena Durante

C’è un mezzo Piemonte abbandonato, sotto la polvere irrefrenabile degli anni, fra le rovine di quello che era stato anche splendore, colore, vociare, lusso. Centinaia di anni prima, forse di più. Di una bellezza sì, ma ormai “perduta”, come se ci fosse poi qualcuno lì pronto a recuperarla. Da una parte arriva l’occhio, fotografico, di Lorena Durante, carrucese che ci guida in questo racconto ad immagini nella cosiddetta “villa del Maggiordomo”. Dall’altra rimane la storia, fatta di personaggi, epoche sepolte, documenti e passaggi di proprietà.

Che portano ad Andrea Gonella, banchiere facoltosissimo nato a Carrù, l’uomo che, a scavalco tra fine 1700 e inizio 1800, aiutò ben due pontefici, Pio VII (ai tempi in cui Napoleone lo teneva prigioniero a Savona) e Gregorio XVI. E il “banchiere di Carrù” divenne proprietario anche di questa villa, che sorge diroccata tra Torino e Grugliasco. «Fece rifare completamente la cappella nel 1833, e la sua famiglia tenne la palazzina fino al 1868», scrive Lorena. Quella che fotografa è una storia di “decadenza” – non è la prima né sarà l’ultima – e le raccoglie tutte ben ordinate nel suo blog online “Stories of decadence”, imbevuto in pieno della filosofia “urbex”: «Le alzatacce notturne per arrivare nascosti in luoghi segreti, un po’ di muri scavalcati, le corse, le prime ricerche e gli articoli su questi luoghi abbandonati che mi hanno completamente “rapita”».

Come, per l’appunto, la villa del Maggiordomo. Dobbiamo immaginarcela com’era: il salone centrale, ellittico, si ergeva fino al secondo piano, dove sui balconcini musici e cantanti allietavano le serate. Poi vennero aggiunte le ali laterali, con le cucine, la cappella e le stanze al piano superiore. Tra l’800 e il ‘900 un nuovo proprietario (Amedeo Peyron) fece creare dall’architetto che progettò la Stazione di Porta Nuova a Torino (Carlo Ceppi) il “giardino d’inverno”, una limonaia con enormi vetrate nella parte ovest e l’incantevole scala elicoidale in legno.

Ma perché villa “del Maggiordomo”? «Inizialmente fu soprannominata la “Napiona” – prosegue Lorena –, dal nome del primo proprietario, Valerio Napione, che, intorno alla metà dei Seicento, ricoprì proprio la carica di “maggiordomo” presso la corte del principe Emanuele Filiberto di Savoia. Non dobbiamo pensare a un signore distinto e impettito in livrea nera, la figura del maggiordomo all’epoca ricopriva un ruolo importantissimo nella corte, in certi casi più politico che amministrativo». Napione affidò la costruzione al famoso architetto torinese Guarini o forse più presumibilmente all’allievo Giovanni Francesco Baroncelli, sul modello di quanto stavano facendo in quel momento i suoi “padroni” Savoia con il Palazzo Carignano a Torino. Poi ecco la giravolta tra proprietari diversi: la famiglia Gonella di Carrù e altri, fino ad arrivare a tale Luigi Corrado Della Chà, l’ultimo ad aver materialmente abitato la villa. È morto nel 1952 e da lì quel gioiello barocco non si è più svegliato.


La famiglia Gonella proviene da Orvieto. Le prime memorie risalgono al torinese Giambattista, il cui figlio Andrea (banchiere) nacque il 10 marzo 1770 a Carrù. Per i suoi aiuti in beneficenza ottenne da re Carlo Alberto il titolo di nobile. Lo stemma nobiliare (fonte l’Heraldrys Institute of Rome) presenta in basso un cane che corre, di sopra tre stelle, poi un elmo sormontato da una corona reale.


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