“Voi siete tutti fratelli”. La vicinanza nella sofferenza. La Giornata del malato

Celebrazione col vescovo a Cengio. Si può seguire anche on-line. Solidarietà all’AIFO. Messa alla cappella dell’Ospedale di Mondovì giovedì 11 febbraio alle 16

Giornata del malato Mondovì

Per la Giornata mondiale del malato prevista giovedì 11 febbraio memoria della Madonna di Lourdes, in diocesi – come ci spiega il responsabile della Pastorale della salute, don Meo Prato –, dovendo adeguarsi doverosamente alle normative e quindi alle limitazioni anti-Covid, ci sarà un unico appuntamento comunitario con la presenza del vescovo a presiedere l’Eucaristia domenica 14 febbraio, alle 11,15 nella parrocchiale di San Giuseppe a Cengio. Anche in questo momento ci si atterrà alle precauzioni previste. La celebrazione solenne, in cui si pregherà per tutti i malati e gli anziani, potrà essere seguita sulla pagina Facebook della parrocchia, oppure scrivendo su un motore di ricerca: parrocchie di Camerana, Cengio, Monesiglio, Prunetto, Saliceto. In questa occasione inoltre si abbinerà la Giornata pro AIFO (Ass. it. Amici di Raoul Follereau). E si pregherà in modo particolare per i malati di lebbra, raccogliendo offerte per sostenere le iniziative dell’AIFO.
La Giornata dell’11 febbraio quindi è affidata nel suo significato di premura, attenzione, solidarietà e preghiera alle realtà degli Ospedali, delle Case di riposo, dei Centri residenziali, nonché alle famiglie ove si trovano appunto tanti malati, in questo tempo difficile.

All’Ospedale di Mondovì la messa col vescovo, l’11 febbraio alle 16
Giovedì 11 febbraio, memoria liturgia della Beata Vergine Maria di Lourdes, Giornata mondiale del malato, nella cappella dell’Ospedale “Regina Montis Regalis” a Mondovì, il vescovo mons. Egidio Miragoli, alle ore 16, presiederà l’Eucaristia condividendo la preghiera con i malati e gli operatori sanitari.

Il messaggio del Papa, per prendersi cura in questi tempi difficili
«Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli», è l’espressione colta sulle labbra di Gesù, come riferito dal Vangelo di Matteo, quale richiamo forte per la Giornata mondiale del malato a calendario l’11 febbraio, in un tempo problematico e complesso, per l’emergenza sanitaria da coronavirus. E mai come quest’anno la celebrazione della Giornata mondiale del malato è collegata all’esperienza drammatica del Covid che ha attraversato le nostre esistenze, portando paura, isolamento, dolore, lutti. Chissà quanti tra noi hanno vacillato nella fede, hanno cambiato le consuetudini della propria presenza, della relazione con gli altri, soprattutto verso i fragili, gli anziani, i malati. Sappiamo però che nella dinamica della fede, ogni esperienza esistenziale, anche la più drammatica, diventa luogo di testimonianza e condivisione, da viversi nel nome del Signore, da offrirsi come Chiesa. In questa logica, in questo stesso periodo abbiamo potuto ammirare la dedizione di chi è chiamato in prima linea ad offrire la propria competenza professionale, il proprio servizio generoso nel volontariato; la propria presenza in una scelta vocazionale. Tutti a lavorare, nelle diverse modalità, per salvare la vita di tantissime persone, a volte, a costo di perdere la propria: medici, infermieri, operatori sanitari di RSA e cliniche per anziani, sacerdoti cappellani di ospedali, religiosi e religiose impegnate accanto ai sofferenti, farmacisti, volontari di associazioni parrocchiali o diocesane. Ancora, nei mesi più bui dell’isolamento – diventato non solo umano ma anche economico –, è cresciuta la solidarietà tra singoli, famiglie, condomini, quartieri, paesi. Un pensiero grato agli operatori di Pastorale della salute parrocchiali, capaci di fare un lavoro in rete tanto prezioso da far sentire abbracciato e sostenuto chi era solo.
“L’esperienza della malattia ci fa sentire la nostra vulnerabilità e, nel contempo, il bisogno innato dell’altro – spiega Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale del malato –. La condizione di creaturalità diventa ancora più nitida e sperimentiamo in maniera evidente la nostra dipendenza da Dio. Quando siamo malati, infatti, l’incertezza, il timore, a volte lo sgomento pervadono la mente e il cuore; ci troviamo in una situazione di impotenza, perché la nostra salute non dipende dalle nostre capacità o dal nostro ‘affannarci’. La malattia impone una domanda di senso, che nella fede si rivolge a Dio: una domanda che cerca un nuovo significato e una nuova direzione all’esistenza, e che a volte può non trovare subito una risposta. Gli stessi amici e parenti non sempre sono in grado di aiutarci in questa faticosa ricerca”.
“La malattia ha sempre un volto, e non uno solo: ha il volto di ogni malato e malata, anche di quelli che si sentono ignorati, esclusi, vittime di ingiustizie sociali che negano loro diritti essenziali (cfr enc. ‘Fratelli tutti’, 22) – spiega ancora –. L’attuale pandemia ha fatto emergere tante inadeguatezze dei sistemi sanitari e carenze nell’assistenza alle persone malate. Agli anziani, ai più deboli e vulnerabili non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa. Questo dipende dalle scelte politiche, dal modo di amministrare le risorse e dall’impegno di coloro che rivestono ruoli di responsabilità. Investire risorse nella cura e nell’assistenza delle persone malate è una priorità legata al principio che la salute è un bene comune primario. Nello stesso tempo, la pandemia ha messo in risalto anche la dedizione e la generosità di operatori sanitari, volontari, lavoratori e lavoratrici, sacerdoti, religiosi e religiose, che con professionalità, abnegazione, senso di responsabilità e amore per il prossimo hanno aiutato, curato, confortato e servito tanti malati e i loro familiari. Una schiera silenziosa di uomini e donne che hanno scelto di guardare quei volti, facendosi carico delle ferite di pazienti che sentivano prossimi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana”.
“La vicinanza, infatti, è un balsamo prezioso, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia. In quanto cristiani, viviamo la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo, ‘il buon Samaritano’, che con compassione si è fatto vicino ad ogni essere umano, ferito dal peccato. Uniti a Lui per l’azione dello Spirito Santo, siamo chiamati ad essere misericordiosi come il Padre e ad amare, in particolare, i fratelli malati, deboli e sofferenti. E viviamo questa vicinanza, oltre che personalmente, in forma comunitaria: infatti l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili”.
“Il comandamento dell’amore, che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli, trova una concreta realizzazione anche nella relazione con i malati. Una società è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei suoi membri fragili e sofferenti, e sa farlo con efficienza animata da amore fraterno. Tendiamo a questa meta e facciamo in modo che nessuno resti da solo, che nessuno si senta escluso e abbandonato.

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