8 Marzo: storie di Donne e di lavoro, contro il Covid. Interviste a figure femminili a cui la pandemia ha stravolto il lavoro o glielo ha strappato
8 Marzo: storie di Donne e di lavoro, contro il Covid. Contro, perché lo hanno provato sulla loro pelle. O su quella dei loro assistiti. O perché ha devastato il loro lavoro: nelle corsie dell’ospedale, fra i banchi di scuola, nel bar o nel ristorante, prendendosi cura della bellezza altrui. Il Covid ha devastato le vite di tutti e ha travolto il lavoro di tutti. Che c’entra, verrebbe da dire, l’8 Marzo?
Già: che centra? «Nel 2020, anno della pandemia, su 444 mila lavoratori in meno 312 mila sono donne». Lo ha detto l’Istat, qualche settimana fa. Ed è impressionante il dato di dicembre: su 101 mila posti di lavoro spariti, 99 mila erano femminili. Oggi, lunedì 8 marzo, è la “festa della donna”. Anzi: è la “Giornata internazionale della donna”, dei diritti delle donne. Il lavoro è uno di questi diritti - perché il lavoro è dignità -, ed è uno di quelli che viene calpestato più spesso. Ma perché, nell’anno della pandemia, il lavoro femminile è stato così colpito?
Facciamo un passo indietro. Di un anno. 8 marzo 2020, “festa della donna” ma soprattutto ultimo giorno di aria aperta per sessanta milioni di persone. Il giorno successivo, 9 marzo, entrerà in vigore il Dpcm del primo lockdown. Un anno di Covid, un anno di crisi. Un anno a combattere gli effetti devastanti del virus sulla salute, sulla sanità, sulle scuole ma anche sull’economia. Perché la pandemia ha impattato così tanto sul lavoro femminile?
«Per almeno tre ragioni - racconta lo scenario che hanno in mano le forze sindacali -. Primo, perché ha impattato economicamente su settori lavorativi a forte occupazione femminile». Ed è il caso dei centri estetici e acconciature, della ristorazione, delle imprese di pulizia, delle aziende del turismo. «Secondo: perché, in una situazione già fortemente precaria, sono le prime che hanno subito riduzione o che sono state direttamente a casa». Ed è il caso di aziende finite in crisi, ma anche delle coop di servizi a terzi che hanno ridotto tantissimo. «E terzo: perché, in una situazione già precaria, è venuta a galla una questione collegata alla fragilità di questo sistema: un sistema in cui tante donne, con la chiusura delle scuole, hanno dovuto scegliere tra occupazione e i figli e hanno abbandonato il posto di lavoro».
E poi c’è chi, invece, ha dovuto lavorare fronteggiando il virus ogni santissimo giorno: chi nelle Rsa, chi nel mondo della scuola, chi in ospedale come oss o come medico, chi nel commercio, nella ristorazione, nei saloni di acconciature. Infine, c'è chi lavorava, e oggi non lavora più.
Ed è a loro che L’Unione Monregalese dedicherà un servizio di approfondimento - ampio - sul prossimo numero. A loro, e alle loro storie: «li vedevo morire ogni giorno, e sapevo che quando dicevo “andrà tutto bene”... dicevo una bugia», «dovevo essere forte, perché sapevo che tutti confidavano in me», «avevo appena cominciato questo lavoro, ed è cambiato tutto», «non vedevo più nessuno: avevo paura di portare il virus a casa», «ho pensato prima ai miei dipendenti che a me», «non si tornerà mai come prima», «ricordo quando si poteva prendere un caffè o fare due chiacchiere: ora no», «nulla, nella mia formazione, mi aveva preparata a una cosa del genere». Sono tante parole, di tante voci diverse. Donne contro il Covid.
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