San Michele, dopo il processo per il cumulo di letame viene assolto il gestore del centro animali

Era imputato per non aver adempiuto alle prescrizioni del sindaco: «Non era un’emergenza sanitaria»

(a.c.) Era accusato di non aver rimosso entro i termini previsti un cumulo di letame di tre metri cubi collocato su un terreno di sua proprietà. Succede a San Michele, nella borgata Castello, dove F.S. (40 anni, originario del Milanese) gestisce assieme alla moglie S.A. il ricovero per animali “Nuovo Rifugio Emma”. Il procedimento penale a carico dell’uomo per inosservanza di un provvedimento dell’autorità verteva su una presunta “emergenza sanitaria”, natura ben diversa da quella che il mondo intero sta vivendo.

Prima di questa vicenda il centro – che ospita 27 cani, 12 gatti, 4 tartarughe, una pecora e un cavallo – era già stato oggetto di varie segnalazioni all’autorità da parte degli altri abitanti della frazione, che lamentavano i latrati continui dei cani e le cattive condizioni igieniche del luogo. A seguito di un sopralluogo congiunto tra carabinieri forestali, funzionari Asl e vigili urbani nel gennaio 2019 era stato ingiunto al proprietario di rimuovere entro 48 ore il letame e di provvedere in 60 giorni a mettere a norma il sistema fognario. Stando ai rilievi eseguiti, il cumulo si trovava a una distanza dall’abitazione della coppia inferiore rispetto a quella prevista dalla legge. Nel marzo successivo il sindaco di San Michele, Domenico Michelotti, aveva emanato un’apposita ordinanza. Ma ancora in novembre l’Asl aveva constatato che il letame non era stato completamente rimosso.

Il pubblico ministero Anna Maria Clemente ha chiesto la condanna a un mese per l’imputato, ritenendone provata la colpevolezza. L’avvocato Fabrizio Bruno di Clarafond, difensore di F.S., ha invece sostenuto che l’ordinanza sindacale fosse viziata all’origine da una mancanza di presupposti: «Non si può ritenere che un cumulo di letame di tre metri cubi costituisce un’“emergenza sanitaria”. Insussistente è anche il riferimento all’interesse pubblico o a un imminente pregiudizio per la salute della comunità locale». Il cavallo “responsabile” di ciò, ha sottolineato inoltre il legale, non era di proprietà dello stesso F.S. ma era stato affidato in custodia al figlio della sua compagna, a seguito di un sequestro giudiziario. Alla fine, il giudice Fabrizio Labate ha pronunciato un verdetto di assoluzione per particolare tenuità del fatto.

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