Nelle parole e nei disegni dei ragazzi i segnali del disagio

Un ragazzo rientra in classe con un braccio sanguinante. Il docente si allarma, gli chiede di mostrare le ferite, gli chiede cosa sia accaduto: «Prof, mi sono fatto dei tagli». Ricoverato, aveva segni di altre ferite auto-inflitte. È accaduto qua, a Mondovì, in una Scuola superiore, classe seconda. Andiamo avanti? Ci sono ragazzi che confessano ai docenti di avere pensieri terribili. Altri che smettono di mangiare, di avere contatti, di uscire di casa. Altri che scrivono: «Meno male che posso giocare ai videogame, se no mi ucciderei». E se gli chiedi di identificare l’anno della pandemia con dei colori, rispondono: «Il nero, come il buio dell’isolamento, il bordeaux, come il lutto per i parenti morti, e il grigio come la tristezza».

Forse il mondo degli adulti non ha ben chiaro cosa stia accadendo, cosa sta accadendo davvero, nel mondo dei giovanissimi. È qualcosa di sommerso, ma che sta emergendo. Purtroppo, però, sta emergendo tardi. Speriamo non troppo tardi, perché il problema è spaventosamente grave: il gigantesco peso che sta gravando sulle spalle delle fasce giovanili, che stanno letteralmente esplodendo dopo un anno in cui le relazioni sociali sono state disintegrate.

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IL WEBINAR CON GLI ESPERTI
Poche settimane fa riportavamo le parole di un appello – firmato da 200 dottori delle Neuropsichiatrie infantili di tutto il Piemonte, Liguria Val D’Aosta – rivolto al Ministero della Salute e all’Istituto Superiore di Sanità, chiedendo urgentemente un aiuto. Proprio la scorsa settimana, il 13 maggio, l’Associazione “Insieme” di Cuneo ha svolto un webinar in cui, oltre a dottori (neuropsichiatri e pediatri), hanno partecipato numerosi esponenti monregalesi del mondo scolastico o sportivo. Per raccontare la loro esperienza a confronto con ciò che i giovani hanno vissuto.

ATTACCHI DI PANICO E ATTI DI AUTOLESIONISMO
«I quadri clinici si sono aggravati – spiega la dottoressa Barbara Nano, Neuropsichiatria infantile Asl CN1 –, sono cresciuti in quantità e complessità. Ora che le scuole sono riaperte abbiamo dovuto fare fronte a un incremento di crisi d’ansia, attacchi di panico, disturbi del sonno. Ci sono giovani che rifiutano di avere contatto col mondo, che si chiudono in casa. Crescono i disturbi alimentari: anoressia e bulimia. E stanno crescendo anche gli atti di autolesionismo».

A complicare le cose c’è il fatto che spesso gli adulti, le famiglie, non colgono la gravità della situazione: credono che il proprio figlio o la propria figlia stia solo affrontando un momento di tristezza, una fase emotiva particolare. Non sanno capire che sono segnali quasi patologici, di un problema gravissimo. Fin quando non è troppo tardi, come racconta la dottoressa Elisa Colombi, responsabile della Neuropsichiatria infantile dell’Asl CN2: «I casi che giungono in NPI sono, sempre più spesso, a uno stadio già grave, che richiede il ricovero. La pandemia e il lockdown hanno amplificato un fenomeno che era già ampio, da tempo».

LA RISPOSTA DELL’ISS
Nei giorni scorsi però è arrivata una risposta ufficiale all’appello dei neuropsichiatri delle tre Regioni. Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, prof. Silvio Brusaferro, ha affermato di aver avviato una collaborazione con le Regioni per valutare le misure di intervento, in concertazione coi Ministeri. L’appello ribadiva le criticità e le proposte: «Mancano adeguate risorse a livello quantitativo e qualitativo: c’è carenza di posti letto nelle strutture NPI. Occorre formare e rafforzare la rete: proseguire a lavorare in collaborazione con gli altri specialisti, il mondo scolastico e sociale per costruire percorsi condivisi di prevenzione del disagio. Aumentare la consapevolezza, sia di tipo comunitario che istituzionale, di quanto sta succedendo, e a più livelli: genitori, insegnanti, medici Npi, pediatri e psichiatri, psicologi, educatori, assistenti sociali».

«Sono emerse testimonianze e confronti molto costruttivi, che non abbiamo potuto esaurire completamente tanto vasto è l’argomento – afferma Giuliana Chiesa, vicepresidente di “Insieme” –. Ciò che ci premeva particolarmente era richiamare l’attenzione su questa “emergenza nell’emergenza” cercando delle vie di fuga, e questo si è sviluppato nel corso del dibattito, dove le testimonianze e il racconto del contesto reale di questa emergenza hanno permesso di far emergere consigli e suggerimenti alle famiglie che potrebbero ritrovarcisi. Ringraziamo i nostri ospiti per la loro disponibilità e professionalità. L’augurio è potersi trovare nuovamente tra qualche mese per dire che le cose saranno migliorate».


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