«L’ultimo dell’anno è il giorno dello sguardo retrospettivo, dello sguardo all’indietro. In genere, si tenta qualche bilancio, o si cerca di formulare un giudizio sull’anno appena trascorso, per affibbiargli un’etichetta, fosse pure comparativa rispetto a quello precedente – ha detto venerdì sera il vescovo mons. Egidio Miragoli presiedendo l’Eucaristia di fine anno, con il canto del “Te Deum” di ringraziamento, nella parrocchiale del Ferrone a Mondovì –. Sinteticamente oserei dire che questo 2021 è stato migliore del 2020, e ci voleva poco. In ogni caso, ripercorrendolo mi viene, soprattutto, di rendere grazie ai medici e agli scienziati, che al di là, o al di qua, di ogni polemica ci hanno comunque soccorso, aiutato, protetto, fornito di cure e vaccini, per cui, se i dodici mesi che si stanno concludendo questa sera sono stati meno drammatici dei dodici che li hanno preceduti, buona parte del merito va certamente a loro».
NON ABITUARSI ALLE TRAGEDIE DELL’UMANITÀ – «Ma, guardandomi indietro, la prima data significativa che incontro è il Natale, quest’anno celebrato con maggior serenità, e allora mi torna in mente la benedizione del Papa che viene chiamata “Urbi et orbi”. Ora, questa espressione latina significa che quella benedizione – che è un tutt’uno con il messaggio che la precede – è rivolta alla città (di Roma) e al mondo. Il che vuol dire che riguarda anche noi. Ci pensiamo mai? Ci sentiamo mai chiamati in causa dalle parole che il Papa pronuncia in quella circostanza? Quest’anno, davanti al presepe e pur nell’atmosfera incantata del Natale, Francesco ha voluto compiere una sorta di ricognizione delle vicende che dilaniano il mondo, e ricordarci alcuni dei tanti drammi ignorati o taciuti dell’umanità. “Ci siamo abituati a tal punto che immense tragedie passano ormai sotto silenzio; rischiamo di non sentire il grido di dolore e di disperazione di tanti nostri fratelli”. In particolare la tragedia dei migranti (quanti ne sono affogati nel Mediterraneo? Non lo sapremo mai veramente) ma anche le sorti di paesi in sofferenza da anni (Libano, Siria, Yemen, Etiopia, Myanmar…), per dirci che “anche a livello internazionale c’è il rischio di non voler dialogare, il rischio che la crisi complessa induca a scegliere scorciatoie piuttosto che le strade più lunghe del dialogo” mentre “queste sole, in realtà, conducono alla soluzione dei conflitti e a benefici condivisi e duraturi”».
PER UN MONDO MIGLIORE – «Nell’omelia pronunciata in San Pietro, poi, il Papa ha ricordato un dramma anche a noi molto vicino, il dramma delle morti sul lavoro, ancora troppe e sempre ingiustificabili, perché la loro più vera ragione risiede, sovente, nel lesinare sulle spese comportate dalla sicurezza – ha proseguito il vescovo –. Così, dal Natale intorno a questa fine d’anno si riverberi anche per noi, che siamo il mondo, un forte richiamo all’attenzione per la scena internazionale, al dialogo e, per chi compete, a una gestione del lavoro molto più attenta alla persona che non al denaro. Quando si investe qualche euro nella sicurezza, non si perdono dei soldi: si salvano delle vite, il cui sacrificio, invece, è sì perdita irrimediabile e sofferenza inconsolabile per chi rimane ed era legato alle vittime. Qualcuno, magari, non mancherà di eccepire, su tali contenuti; in realtà essi toccano questioni che gli uomini di buona volontà, ma soprattutto i credenti, devono considerare, se davvero vogliamo un mondo migliore, una società più giusta, e se non vogliamo perpetuare la separazione tra fede e vita».
“SALVA IL TUO POPOLO, SIGNORE” – «Tornando alla data odierna, e a questa celebrazione di ringraziamento a Dio, prendo un ulteriore spunto dalla preghiera del “Te Deum”, il canto che riassumerà la lode di quest’ultima sera dell’anno. Sul finire, il testo recita: “Salva il tuo popolo, Signore, guida e proteggi i tuoi figli”. E poi, poco dopo: “Dégnati oggi, Signore, di custodirci senza peccato” – ha continuato il vescovo –. Parto dall’invocazione: “Salva il tuo popolo, Signore”, e mi chiedo, e vi chiedo, quanto noi oggi avvertiamo ancora il bisogno, l’urgenza, di essere “salvati”. E intendo “salvati” spiritualmente, non dal covid o dalla crisi economica. Il problema della “salvezza” è un nostro problema? Temo di no. Altrimenti, pregheremmo molto di più; altrimenti, ci confesseremmo molto di più (una delle vittime del Covid, anche in questo Natale, è certo stato il sacramento della riconciliazione…); altrimenti, da credenti, ci porremmo il problema della differenza tra la semplice convivenza e il matrimonio. L’impressione è che l’uomo moderno oscilli fra autosufficienza e rassegnazione, due facce della stessa medaglia che è l’oblio di Dio, la perdita della consapevolezza che salvarci possiamo, ma che dobbiamo almeno desiderarlo; che per salvarci abbiamo bisogno di aiuto e che quell’aiuto deve venirci dal Cielo. Non penso solo alla salvezza eterna, della quale non parla più nessuno, perché, pare essersi silenziosamente diffusa l’idea che l’inferno non c’è, oppure che l’inferno è vuoto e che Dio misericordioso perdonerà tutti a prescindere da tutto. Penso alla salvezza nell’aldiqua, sulla terra, alla salvezza che è liberazione dal peccato e vita dignitosa e limpida, condotta secondo la Parola di Dio e con la Grazia di Dio. Quella che un versetto meraviglioso di Luca, nel “Benedictus” sintetizza nella possibilità di vivere servendo Dio “senza timore, in santità e giustizia, al suo cospetto per tutti i nostri giorni”».
IL NUOVO ANNO DIVENTI ANCHE VITA NUOVA – «Quando nel “Te Deum” auspichiamo che il Signore “si degni” di “custodirci senza peccato”, non stiamo forse chiedendo che la salvezza sia vita liberata dal peccato, cioè conversione finalmente attuata? Credo di sì, e mi piacerebbe che questo fosse il nostro concreto, concretissimo proposito per l’anno che inizia: convertirci davvero, dare un taglio netto a tutte le situazioni, le abitudini e le zone d’ombra che rendono impacciate o addirittura opache le nostre vite, perché la semplice convenzione del cambio abbia ad assumere un valore simbolico e ci aiuti a una svolta».
CON L’AIUTO DI MARIA – «Possa in questo aiutarci Maria Theotókos, Maria madre di Dio che viene onorata dalla liturgia sia il 31 dicembre sia il primo gennaio – ha concluso il vescovo –. Il cambio dell’anno avviene sotto la protezione, direi sotto il manto di colei che ci ha dato Gesù, il figlio di Dio, il Salvatore. Questo non può che indurci alla gratitudine per il tempo trascorso e alla fiducia per il tempo a venire: perché tutto accade nella presenza di Cristo e di sua madre, cioè di Dio, e la fede ci dice che Dio è Signore della Storia e le garantisce un senso. Diceva un antico adagio: “Anno nuovo, vita nuova”. Ingenua speranza di rinascita legata al calendario. Per una volta, sarebbe bello, però, che la “vita nuova” la cercassimo davvero, all’avvicendarsi degli anni. Forti appunto nella fede e nella speranza in Dio, e soprattutto nella carità. La carità verso il mondo come verso noi stessi. Ce lo auguriamo di cuore».