Dagli anni ’60 ad oggi, il sogno di Prato Nevoso

La stazione sciistica nasceva più di quarant’anni fa, dal sogno visionario di un gruppo di imprenditori genovesi. Diamo voce a chi ha visto nascere la stazione e la anima da allora

Foto di Massimo LanzaFoto di Massimo LanzaUn volo in elicottero, sopra il Colle del Prel: a bordo Glauco Lolli Ghetti, armatore genovese, che valuta la conformazione del suolo, iniziando a elaborare una visione ad ampio raggio. Il primo passo della nascita della stazione sciistica di Prato Nevoso. Lolli Ghetti, classe 1921, è amministratore delegato della Carbo Flotta e della Navigazione Alta Italia. L’idea è ambiziosa: si vuole impiantare su questa Conca, stretta tra le montagne di Frabosa Sottana, il polmone turistico della Riviera di Levante, tutto incentrato su Genova. All’epoca era presidente della Sampdoria. Il primo terreno su cui sarebbe sorta la stazione sciistica fu acquistato il 22 ottobre del 1964, nello studio del notaio monregalese Branda. 110 ettari di terreno pubblico e 40 dal privato, destinati alla creazione del nuovo villaggio. Pochi chilometri più in su si stava già lavorando alla costruzione di Artesina. Il progetto originale prevedeva la costruzione di 8 skilift,con 10-13 km di tracciato, e seggiovie per arrivare a quota 1.600. Inoltre, sul piano edilizio, si prevedevano sei grandi alberghi, cinque condomini, un centinaio di ville e villette e la chiesa. Cinque anni dopo il panorama era caratterizzato già dal largo tetto a spioventi dell’Hotel Mondolè. I primi turisti con rolleiflex a tracolla e scarponi chiodati iniziano a raggiungere la stazione per sciare. Gru ed escavatrici sono in piena attività per costruire condomini e villette. Negli anni Prato Nevoso è passata di mano a diverse gestioni: per un periodo è stata gestita dalla Cameri, sempre di Genova, e poi da Detti e dall’ingegner Moretti. Oliva e Biasotti hanno poi comprato da loro e arriviamo all’attuale gestione. «Sull’accoglienza Prato Nevoso era all’avanguardia – ricorda Piero Bonelli, memoria storica della stazione –: avevamo sei alberghi, tutti molto ben gestiti e lavoravano molto. Il Mondolè, la Capanna, la Curva, Il Prel, Il Belvedere, Il Galassia. Negli anni le cose sono un po’ cambiate».

«All’epoca l’attrezzatura era in legno, con scarponi di cuoio e lacci non certo di sicurezza». Il turismo invernale era visto come una roba da ricchi, ma cominciava a diffondersi per avvicinarsi a quello che è sempre stato considerato uno sport d’élite – racconta Maurizio Scarsi, maestro di sci –. Si costituirono gli Sci Club, si organizzavano pullman con viaggi lunghissimi, partendo a orari terrificanti, tutto per amore degli sci». L’offerta della Prato Nevoso degli anni Settanta comprendeva alberghi, negozi di articoli vari, attività di noleggio sci. Per un periodo erano attive ben cinque discoteche, poi c’erano cinema, bowling, sala giochi. «La dirigenza di allora, Lolli Ghetti e Dodero, il suo uomo sul posto, erano appassionati di sci, e avevano una visione turistica ad ampio raggio – ricorda ancora Bonelli –. Era gente che aveva girato l’Europa, sapeva cosa accadeva in giro e ha applicato a Prato Nevoso il modello». La didattica dello sci è cambiata tantissimo negli anni, come spiega ancora Scarsi: «All’epoca si insegnava come si poteva: si usava la scaletta all’inizio, lo skilift si utilizzava solo dopo un po’. Molti lasciavano in seguito alle cadute dallo skilift. I materiali non aiutavano: sci lunghissimi, scarponi di cuoio molli, che si infradiciavano e poi rischiavano di far saltare i malleoli».
Il problema della neve come si gestiva, prima dell’innevamento artificiale? Come si poteva, e in generale erano guai grossi: «L’82 è stato “l’anno del prato” addirittura abbiamo dovuto fare la fiaccolata a piedi – ricorda Scarsi – Si cercava di buttare un po’ di neve e si tirava la cinghia. Se andavi in rimessa due inverni di fila rischiavi la chiusura perché gli impianti costavano». «La vera rivoluzione si è avuta con l’arrivo del gatto delle nevi – è la conclusione di Bonelli –. Quella è stata l’innovazione che ha consentito davvero a tutti di sciare. Il primo gatto che ho guidato io è arrivato nel 1965, mi trovavo ancora a Lurisia, un modello costruito da Ernest Prinoth a Ortisei. Aveva due motori, una forma tutta strana. Il gatto più vecchio del mondo è del 1928, in Alaska».

Maurizio Scarsi
«Ho cambiato decine di modi di sciare».
Era a Prato Nevoso nei suoi primi anni, è presente oggi con la “Snow Academy”: “Nonno Mao” è uno dei veterani della didattica dello sci.

Il team del Chilometro lanciato record del 1976, del team era parte anche Scarsi

«Sono originario di Genova, ma sono sempre stato qua, conosco bene le origini di Prato Nevoso. Lolli Ghetti era amico dei miei genitori. Nel 1970 ero presente all’evento di inaugurazione dell’hotel Mondolè. In occasione della grande festa è stata organizzata una mega gara sulla pista due: c’erano i Cus, i Circoli sportivi universitari, e c’era anche quello genovese, che io allenavo. Poi sono stato lontano da Prato Nevoso per un po’ perché sono stato assoldato come ski man dalla nazionale di sci, negli anni della “Valanga Azzurra” di Thoeni, Gross. Preparavo gli sci per i velocisti, per conto della Freyrie. Poi ho trascorso alcuni anni a Viola St. Gréé seguendo la scuola di sci e a Garessio 2000. Sono stato tra i fondatori della scuola estiva sul ghiacciaio di Tonale e Les 2 Alps. Sono tornato a Prato Nevoso negli anni ‘90, invitato dall’autore della scuola sci di Prato Nevoso Anton Luca Rolandi. Nel 2008, in seguito alla scomparsa di Rolandi, un gruppo di noi ha deciso di aprire una scuola per conto proprio: è nata così la Snow Academy Prato Nevoso, che oggi conta più di 70 maestri».
Qual è l’esperienza sportiva a cui è più affezionato?
«Io ho seguito in particolare il chilometro lanciato: nel 1976 abbiamo fatto il record del mondo per quanto riguarda lo sci di serie, con Pietro Albertelli che si è lanciato a 197 chilometri all’ora. Io preparavo i materiali per loro. Oggi sono il veterano dei maestri di sci, in zona sono sicuramente uno dei più anziani con 50 anni di esperienza. Prato Nevoso è la mia vita, è come se ci fossi sempre stato».
Quanto è cambiato il suo modo di interpretare la didattica dello sci negli anni?
«Questo lavoro va fatto con passione, senza mai smettere di studiare. Da quando sono in attività, ho cambiato trenta modi di sciare per essere a livello. Su questo non transigo: nessuno va da un dentista che usa il trapano a pedale. È importante saper sciare moderno, per offrire l’insegnamento giusto ai ragazzi e agli allievi. Altrimenti è meglio smettere».

Piero Bonelli
«A Prato Nevoso almeno dieci nazioni diverse»
A Prato Nevoso dal 1970, ha gestito l’hotel “La Capanna” ed è stato allenatore e sciatore. Ha visto nascere e crescere la stazione sciistica

«Sono arrivato nel 1970, per occuparmi un po’ della stazione e accollarmi del lato sportivo, allenando lo Sci club. Io prima ero a Lurisia, sul Monte Pigna, facevo il direttore sportivo, organizzavo le gare e allenavo i ragazzi dello Sci club anche lì. Su invito del geometra Parola sono venuto a Prato Nevoso, dove abbiamo aperto l’albergo “La Capanna” in comproprietà con Parola, ma lo gestivamo noi come famiglia».
Come ricorda il suo arrivo a Prato Nevoso?
«Sono venuto per la prima volta nell’autunno del 1966: nevicava fortissimo, i portici dove ci troviamo adesso appartenevano a un albergo. All’epoca il geometra Parola aveva un negozio di articoli sportivi e prevedeva di aprire un’attività di noleggio. C’era tanto fermento e c’era la possibilità di lavorare»
Anche lei ricorda l’evento dell’apertura del Mondolè nel 1970?
La prima apertura dell’hotel Mondolè fu nel 1966, poi è stato fatto il grande evento del 1970. Aveva partecipato anche Eugenio Bonicco, il grande sciatore frabosano. La fine del porticato è stata costruita in tre anni, tutto il resto è seguito. Diverse imprese lavoravano in questa zona, da cinque a sette nell’epoca del boom».
Come si è evoluta la costruzione degli impianti, negli anni?
«Il primo ampliamento ha interessato la zona del verde, poi si è andati su. Si è conformata la montagna, la morfologia era completamente diversa. Si è cercato di aggiustare, allargare e appiattire».
Quando hanno iniziato a venire i primi turisti internazionali?
«Gli inglesi hanno iniziato a venire abbastanza presto: dopo la morte di Dodero, sotto la gestione di Rollier, hanno cominciato a farsi vedere tramite una grossa agenzia dell’Inghilterra, ma si parla del 1976. Poi sono venuti turisti anche da altre parti d’Europa: ultimamente abbiamo molti turisti provenienti dall’Est europeo. Abbiamo dieci nazioni diverse che raggiungono Prato Nevoso».

Massimo Lanza
«La battitura piste è cambiata radicalmente»
Dai primi anni ’80 è al lavoro sulle nevi di Prato Nevoso: ci racconta come è cambiato il suo mestiere in tutti questi anni

«Sono arrivato in seguito alla chiamata del geometra Lanza, che allora era il direttore di Prato Nevoso. Stiamo parlando dei primi anni ‘80… Io all’epoca ero coltivatore, e d’inverno avevo la possibilità di fare la stagione. A quei tempi era quasi impossibile fare una pista perfetta, con gli strumenti che avevamo allora. Il lavoro è cambiato davvero in modo impressionante»
Che strumentazione avevate a disposizione all’epoca?
«Per bene che si potesse lavorare non si riusciva quasi mai a fare una pista che soddisfacesse del tutto: i mezzi erano quelli che erano. Attaccavamo il mattino alle 8, o anche prima a seconda delle condizioni della neve, e poi si lavorava a oltranza anche fino a notte inoltrata. Si poteva anche finire alle 2-3 di notte. Era molto più pesante, c’erano molte più ore da fare ed era molto più complesso. All’epoca il fattore umano era davvero tutto. Le lame erano fisse, le alette non si potevano muovere. Poi con la neve dura era davvero difficile spianare, perché erano deboli. Le frese avevano giri minimi, non frantumavano bene e non essendoci raccolte restavano spesso dei “margini” che infastidivano gli sciatori. Poi li sentivi… all’epoca eravamo abbastanza tartassati di lamentele».
La gente si lamentava?
«Non era colpa del personale, ma i mezzi tecnici a disposizione avevano i loro limiti. Ci mettevamo tutto l’impegno possibile ma raggiungere risultati buoni era raro. Oggi è completamente diverso. Attacchiamo alle 17 fino a quando c’è bisogno, dipende da tanti fattori, se è una sera in cui si inneva, o dalle condizioni della neve. Con le macchine di oggi si riesce a fare un lavoro egregio in molto meno tempo»
Quanto è cambiata la stazione?
«Era un turismo molto diverso, ma c’era tanta gente, come negli ultimi anni prima della pandemia. All’epoca c’era il boom dello sci. C’erano tante attività anche se era un’altra epoca: erano in funzione diverse discoteche ed erano sempre pienissime. Oggi prevalgono i locali, le birrerie e i bar».

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