Carlo De Benedetti è stato assolto perchè il «fatto non costituisce reato» nel processo che lo vedeva imputato per diffamazione, dopo la denuncia di Matteo Salvini. Lo ha stabilito il tribunale di Cuneo, nella persona del giudice Emanuela Dufour.
L’ex patron di Repubblica e del gruppo Espresso era finito in tribunale per le dichiarazioni espresse durante l’edizione 2018 del Festival della Televisione e dei Nuovi Media a Dogliani. In quell’occasione, l’editore aveva espresso una serie di giudizi “a tutto campo” sul leader della Lega nel corso di un’intervista condotta da Lilli Gruber. In particolare, rispondendo alle domande della conduttrice de La7 sul governo gialloverde allora “in fieri”, De Benedetti aveva dichiarato fra l’altro: «Salvini è il peggio perché è xenofobo, antisemita, antieuropeo, festeggia Orban in Ungheria, è finanziato da Putin».
A indignare l’ex ministro dell’Interno è stata nello specifico l’accusa di antisemitismo: «Non l’accettavo e non l’accetto tuttora, la ritengo un’infamia pesante», aveva dichiarato in aula Salvini, recatosi nel capoluogo della Granda lo scorso giugno per offrire la sua versione. De Benedetti non si è invece presentato, ma ha fatto sapere tramite i suoi legali di ritenere le frasi che aveva espresso durante la manifestazione un «lecito esercizio del diritto di critica politica, in alcun modo censurabile in uno Stato di diritto».
L’accusa di antisemitismo è finita al centro della requisitoria, condotta dal sostituto procuratore Attilio Offman, con ampi riferimenti alla giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo. Ha argomentato così il pubblico ministero: «Il giudizio di ‘antisemita’ è sicuramente un’accusa infamante, come confermato dal codice penale che ha sanzionato l’istigazione alla discriminazione razziale, con un’aggravante se questa si fonda sulla minimizzazione o l’apologia della Shoah. La produzione documentale fornita dalla difesa non fornisce una ragionevole, se pur lontana, base fattuale che giustifichi il giudizio critico mosso dall’imputato».
«Si sono fatti voli pindarici – ha aggiunto il magistrato – stabilendo collegamenti tra le opinioni del senatore Salvini e teorie che non ha mai suffragato». Un passaggio della requisitoria ha toccato l’accusa – ben più “calda” in questo frangente – di essere “finanziato da Putin”: «I presunti episodi citati dalla difesa sono tutti posteriori alla data del Festival: non si possono utilizzare notizie giornalistiche emerse nei mesi successivi, per giustificare a posteriori un giudizio critico».
Per la difesa di parte civile, rappresentata dall’avvocato Claudia Eccher, «l’ingegner De Benedetti si è profuso in una serie di sproloqui», e «la documentazione prodotta dalla difesa proviene per la maggior parte dalle testate di cui era proprietario». La legale di Salvini aveva quantificato il danno subito nella cifra di 100mila euro, mentre l’accusa ha limitato la richiesta di pena a una sanzione pecuniaria di 800 euro: «Già nella sentenza Belpietro - ha precisato il pm - la Corte costituzionale aveva ritenuto incompatibile la sanzione di una pena detentiva, ancorché sospesa, nei confronti di un giornalista colpevole di diffamazione».
Di una richiesta punitiva “anacronistica e potenzialmente pericolosa” ha parlato l’avvocato Marco Ivaldi, difensore di De Benedetti insieme alla collega Elisabetta Rubini. Quello dell’ingegnere «non era un attacco a Salvini persona, era con ogni evidenza una critica al Salvini politico». Nella stessa intervista, peraltro, De Benedetti aveva definito Trump «un pazzo irresponsabile«, il Pd «un partito in stato comatoso», i Cinque Stelle «ridicoli»: testimonianza di una “verve espositiva” che il legale ha paragonato a quella dello stesso leader leghista, conosciuto per gli epiteti non proprio lusinghieri verso gli avversari e gli eccessi verbali. «Se Salvini può dire certe cose da cittadino - ha argomentato l’avvocato Ivaldi - in un certo modo me ne rallegro, perché siamo ancora in uno Stato di diritto dove si può esprimere anche con toni aspri la propria critica verso chi governa».
«Non è vero che non ci siano dati fattuali che collegano Salvini all’antisemitismo», ha obiettato la codifensore Elisabetta Rubini, menzionando la circostanza che nel 2017 “durante un comizio della Lega, aveva dichiarato di voler cancellare la legge Mancino”. L’avvocato ha citato esponenti di primo piano del partito “dichiaratamente neofascisti”, concludendo: «La contiguità anche programmatica di Salvini e della Lega con movimenti neofascisti giustifica l’addebito di antisemitismo rivolto da De Benedetti». Quanto all’addebito di essere «finanziato da Putin», per Rubini «si tratta di un giudizio di valore e menziona un collegamento tra il partito di Salvini e la Russia che ha fondamento. Il messaggio di allarme che De Benedetti ha lanciato a Dogliani nel 2018 si è rivelato più che fondato alla luce di eventi successivi».