Caso Cucchi: condannato a 5 anni l’ex comandante di Mondovì gen. Casarsa

Sentenza di primo grado del processo sui depistaggi: il gen. Alessandro Casarsa all'epoca dei fatti era comandante dei Carabinieri del Gruppo di Roma. Fu a capo della Compagnia di Mondovì durante l'alluvione del'94

Una condanna a 5 anni di reclusione al generale dei Carabinieri Alessandro Casarsa. È questa la decisione del giudice Roberto Nespeca, chiamato ad esprimersi nell’ambito del processo “despistaggi” seguito al pestaggio e alla morte di Stefano Cucchi, il 31enne romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini.

LE CONDANNE

Al processo, ancora al primo grado di giudizio, sono finiti sul banco degli imputati 8 Carabinieri: tra questi, come detto, il generale Alessandro Casarsa, già comandante della Compagnia di Mondovì negli anni ’90 e all'epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, a cui il giudice del tribunale monocratico di Roma ha inflitto la pena più alta, 5 anni (il pm aveva chiesto sette anni). Il giudice Nespeca, che ha concluso la camera di consiglio dopo 8 ore, ha poi inflitto 4 anni di reclusione a Francesco Cavallo, all'epoca dei fatti capufficio del comando del Gruppo Carabinieri Roma. Per lui l'accusa aveva sollecitato 5 anni e mezzo. Per Luciano Soligo, ex comandante della Compagnia Montesacro, condanna a 4 anni, invece di 5. Stessa pena chiesta per il carabiniere Luca De Ciani, per il quale sono stati dati invece 2 anni e 6 mesi. Per Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo, condanna a un anno e 9 mesi (invece dei 4 anni richiesti dalla Procura). Un anno e 3 mesi al carabiniere Francesco Di Sano (3 anni e 3 mesi per il pm), stessa pena anche a Lorenzo Sabatino, allora comandante del Reparto operativo dei Carabinieri di Roma, per il quale erano stati sollecitati 3 anni. Pena pari a 1 anno e 9 mesi per Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, otto mesi in più di quanto auspicato dal pm previo il riconoscimento delle attenuanti generiche.

LE ACCUSE

Le accuse contestate agli otto militari dell'Arma, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dal falso, al favoreggiamento, all'omessa denuncia e calunnia. Casarsa era stato il comandante della Compagnia Carabinieri di Mondovì negli anni '90, dall’ottobre ’91 al settembre ’95, e lasciò un grande ricordo dietro di sé perché fu il comandante dei Carabinieri proprio durante la terribile alluvione del 1994. Già comandante del Reggimento Corazzieri al Quirinale, fu nominato generale di Brigata nel gennaio 2018. La sua iscrizione nel registro indagati risale al febbraio 2019 ed è legata alla vicenda delle presunte manipolazioni di relazioni di servizio sullo stato di salute di Cucchi, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo mentre si trovava detenuto presso il reparto protetto dell’Ospedale “Sandro Pertini”. Per omicidio preterintenzionale la Corte di assise di Roma nel 2019 aveva condannato due Carabinieri, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, indicati come gli autori del pestaggio. La condanna a 12 anni di reclusione è stata confermata pochi giorni fa dalla Cassazione.

Secondo la Pubblica accusa, sul caso Cucchi «c'è stata un'attività di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva», aveva detto il pm Musarò nella sua requisitoria lo scorso dicembre alla presenza in aula del procuratore aggiunto Michele Prestipino. «Quello che è emerso con evidenza dalla fase dibattimentale – aveva spiegato Musarà – è che i depistaggi non si sono fermati al 2018, ma sono andati avanti fino al febbraio 2021. La vera finalità di questo depistaggio sconcertante non era solo depistare l'autorità giudiziaria, ma farlo anche da un punto di vista mediatico e politico. Il procedimento riguarda 8 persone appartenenti all'Arma, ma non è un processo all'Arma».

LE REAZIONI

Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, subito dopo la sentenza si è detta sotto choc: «Non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno – ha commentato –. Anni e anni della nostra vita sono stati distrutti, ma oggi ci siamo. E le persone che ne sono state la causa, i responsabili, sono stati condannati. Abbiamo vinto su tutto: Stefano non è morto di suo e i responsabili della sua morte sono in galera e oggi coloro che hanno rovinato e distrutto la nostra vita, soprattutto quella dei miei genitori, sono stati condannati. Oggi ha vinto anche lo Stato».

«Il dato di verità è che ci sono stati depistaggi – è il commento dell’avv. Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi – ma tutto quello che hanno scritto su Stefano Cucchi, “tossicodipendente, anoressico, sieropositivo” e tutto quello che hanno scritto sulla famiglia è falso. Chiunque avrà il coraggio di affermare che Stefano Cucchi aveva qualsiasi patologia, che era un tossicodipendente in fase avanzata, commette un reato di diffamazione. Perché quelle relazioni di servizio, che hanno gettato tanto fango sulla famiglia Cucchi, per 12 anni, e che hanno ucciso lentamente Rita Calore e Giovanni Cucchi, sentendosele ripetere sui giornali, ogni giorno, e hanno logorato la vita di Ilaria, sono false, studiate a tavolino. E come ho detto, “l’anima nera” del caso Cucchi, è stato confermato, è il generale Casarsa».

«Casarsa ha reagito con serenità, così come ha affrontato il processo, convinto della sua posizione. Non c’è un commento da fare, c’è rispetto, rispetto la sentenza di un giudice che ha affrontato il processo con grande serietà. Adesso aspettiamo le motivazioni», queste le dichiarazioni dell’avv. Carlo Longari, difensore del generale Casarsa.

LA NOTA DELL’ARMA

«La sentenza odierna del processo che ha visto imputati otto militari per vicende connesse con la gestione di accertamenti nell’ambito del procedimento “Cucchi-ter”, riacuisce il profondo dolore dell’Arma per la perdita di una giovane vita». Lo si legge in una nota con cui l'Arma dei Carabinieri commenta la condanna degli otto militari imputati. «Ai familiari rinnoviamo – ancora una volta –tutta la nostra vicinanza. La sentenza, seppur di primo grado, accerta condotte lontane dai valori e dai principi dell’Arma. L’amarezza è amplificata anche dal vissuto professionale e personale dei militari condannati». «Nei loro confronti – prosegue la nota – sono stati, da tempo, adottati trasferimenti da posizioni di comando a incarichi burocratici e, non appena la sentenza sarà irrevocabile, verranno sollecitamente definiti i procedimenti amministrativi e disciplinari conseguenti. In linea con le affermazioni del Pubblico Ministero nel corso del dibattimento, il quale ha evidenziato come il processo non fosse “a carico dell’Arma”, costituitasi peraltro parte civile, si ribadisce il fermo e assoluto impegno ad agire sempre e comunque con rigore e trasparenza, anche e soprattutto nei confronti dei propri appartenenti».

Ricordiamo che la sentenza è relativa al primo grado di processo, quindi si resta da capire come si muoveranno le difese legali degli imputati, in attesa della pubblicazione delle motivazioni da parte del giudice. Probabile l’impugnazione della sentenza e il ricorso in appello, come già annunciato dall’avv. Giorgio Carta, difensore di Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano.

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