Il più classico dei clichè vuole che, quando giunge al successo planetario, l’artista e la sua opera diventino inesorabilmente “commerciali”, dandosi in pasto a un pubblico sempre più ampio, con le conseguenze che questo può avere sulle scelte di un artista. Non è quasi mai vero, anche se è inevitabile che il successo un po’ influenzi, in termini di aspettative e forse anche di consapevolezza dei propri mezzi. Non ritengo sia questo il caso di Harry Potter, almeno per quanto riguarda l’eptalogia “storica”, anche se il caso presenta aspetti interessanti su cui riflettere, nell’evoluzione del personaggio e dello spirito della narrazione. “Harry Potter e la pietra filosofale” e due libri successivi, che segnano l’affermazione del personaggio anche in Italia, colpiscono il lettore per l’evidente spirito satirico sotteso alla narrazione. Harry Potter è a suo modo un eroe atipico: infatti è un ragazzino sfortunato, orfano ospitato da zii che lo detestano, e conduce una vita grigia, nella provincia inglese. Si scopre, improvvisamente, predestinato, eroe di un intero mondo magico di cui ignorava l’esistenza. Nonostante ciò nel prendere confidenza con questo nuovo ambiente, a dispetto delle aspettative e della posizione di favore di cui apparentemente gode, la sua natura non cambia e si trova spesso in un mare di guai, oltretutto nella posizione di Cassandra, ovvero di chi avverte del pericolo imminente ma non viene creduto. Insomma, “uno di noi” in cui è molto facile identificarsi e con cui si può facilmente empatizzare, a dispetto di tutto anche lui alle prese con le difficoltà e i piccoli inciampi della quotidianità. Tra i punti di forza del libro sicuramente c’è l’intuizione geniale di un mondo di maghi che altro non è se non un altro punto di vista sul mondo reale, elemento che accende la fantasia di grandi e piccini, ma che lascia anche spazio a divertenti intuizioni e giochi in chiave vistosamente parodistica. L’impressione finale è di un libro divertente, che comunque non si prende troppo sul serio. Se qualcosa viene meno, con l’avanzare delle vicende del maghetto, è proprio questo: la narrazione si fa sempre più seriosa e sempre più allineata al clichè del fantasy classico, con l’eroe senza macchia che lotta per salvare il mondo, alle prese anche con la propria formazione personale. Sicuramente questo non è legato solo ai riscontri di vendita e al fenomeno galoppante, ma anche al progetto iniziale della scrittrice, che intendeva comunque rispecchiare nella scrittura la crescita del personaggio, creando una saga che idealmente “accompagnasse” i giovani lettori, vedendoli maturare insieme ai protagonisti. Resta però l’impressione che, nell’evoluzione del franchising, si sia perso lo spirito ironico e la leggerezza che ammantava la favola inventata da J.K. Rowling e che ha contribuito non poco alla sua popolarità. Nonostante la trama non evitasse temi forti come il male e la morte.
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