Woody Allen – Provaci ancora Allen

“Provaci ancora, Sam!” è diventata una di quelle espressioni idiomatiche che hanno avuto particolare fortuna come titolo di giornale ad effetto

di Lorenzo Barberis

“Provaci ancora, Sam!” è diventata una di quelle espressioni idiomatiche che hanno avuto particolare fortuna come titolo di giornale ad effetto (un po’ come “Ed è subito X”, mutuata
dalla più celebre lirica di Quasimodo).

Incidentalmente, sarebbe perfetta anche per commentare l’apparente ritiro, poi smentito, del regista dal cinema.

Ma ora vogliamo invece parlare del film originario, tratto dal regista Herbert Ross, nel 1972, da una fortunatissima piéce teatrale di Allen stesso, nel 1969. Lo spettacolo viene ideato da Allen (che nel film è protagonista e gran mattatore della pellicola) all’indomani del suo divorzio dalla prima moglie, e mette in scena un alter ego parimenti nevrotico, con cui per la prima volta si fa conoscere al grande pubblico questa maschera che, con relativamente poche variazioni, tornerà in gran parte dei suoi film. Un’immagine di inetto nevrotico, tentennante, incapace, ma meravigliosamente sarcastico e autoironico, che diventa lo specchio ideale di un pubblico maschile oppresso dall’ombra inquietante del maschio alfa e del suo imperativo categorico volto all’azione, al decisionismo, al “Non dover chiedere mai”.

Un doppio che qui prende le sembianze di un superego filmico dal volto di Humprey Bogart, l’ineffabile Rick Blaine di Casablanca, da cui la citazione che dà il titolo al film (“Play it again, Sam”, in originale, l’iconica frase che dice al suo pianista).

Curioso notare che la prima recensione sull’Unione è fin troppo favorevole, e parla di “film ricco di verve, di spunti umoristici e di ironia. Esalta l’amore, l’amicizia”, il 5/7/1973, quando il film appare nei nostri cinema; il 3/11/74, in una mini nuova recensione, si corregge la mira, aggiungendo: “il film è un po’ ambiguo, perché accanto a situazioni moralmente non accettabili afferma il valore della costruzione e maturazione della propria personalità” in un aggiustamento di tiro ancora piuttosto generoso per i canoni de L’Unione
dell’epoca.

Personalmente, mi ha sempre affascinato il parallelo tra la maschera di Allen e quella del nostro Italo Svevo/ Zeno Cosini, altra maschera di coltissimo inetto ossessionato dalla psicanalisi di Freud (Allen inizia l’analisi nel 1959 e sarà sempre fonte di ispirazione delle sue opere): figure così radicate in una ineffabile comicità ebraica e però, forse proprio per questo, così universale, almeno per un certo ceto medio di lavoratori intellettuali sull’orlo di una crisi di nervi.

Scopri gli altri articoli della serie "I grandi del Cinema - Woody Allen":

Paolo Roggero - Deconstructing ALLEN

Giovanni Rizzi - Woody Allen: il marchio di fabbrica

Viter Luna - Allen, Freud e il tennis

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