
Deconstructing ALLEN
di Paolo Roggero
Ritiro dal mondo del cinema annunciato e smentito nel giro di pochi giorni. Alla vigilia delle riprese di “Wasp 22”, Woody Allen è caduto in un equivoco che sembra una delle classiche gag delle sue commedie, soprattutto di quelle degli anni ’80 e ’90, incentrate sulle sue nevrosi di newyorchese, alle prese con la vita quotidiana e le relazioni amorose.
Un’intervista al periodico spagnolo “La Vanguardia” è stata travisata per via di una risposta ambigua. È un bel esempio di quanto in realtà il personaggio e l’autore Allen siano sovrapponibili, di quanto, non tanto la biografia, ma la personalità del regista emerga in alcuni suoi lavori. In primis autore comico, Woody Allen approda al cinema dal lato della sceneggiatura, poi della recitazione (del resto i suoi “pezzi” erano spesso interpretati da lui stesso in radio e dal vivo) e successivamente della regia. Il primo film da cineasta “Prendi i soldi e scappa” è un mockumentary sulla vita di un ladro, ovviamente declinata con i toni dell’assurdo e di una comicità surreale. L’espediente del falso documentario sarà uno dei suoi cavalli di battaglia, replicherà in “Il dittatore dello Stato libero di Bananas”, in “Zelig”, considerato unanimemente uno dei suoi film più riusciti, e “Accordi Disaccordi”.
“Io e Annie” e “Manhattan” sono sicuramente i vertici di una filmografia che, nel bene e nel male, ha segnato la storia della settima arte. Il cinema di Allen attraversa diverse fasi: comicità surreale-demenziale, commedia sofisticata ed esistenzialista (con l’intermezzo della parodia, con “Amore e Guerra” e “Il dormiglione”).
Uno dei tratti più peculiari di Allen è la sua riconoscibilità, l’abitudine nel riproporre una serie di tratti distintivi: i titoli di testa e di coda sempre uguali, la musica jazz come colonna sonora (ed è significativo che proprio con “Match Point” introduca invece arie d’opera), temi ricorrenti, tra cui la psicanalisi, l’uso della voce fuori campo, per non parlare della sua “maschera”, il suo sguardo sparuto dietro agli occhialoni (elemento che con la sua anzianità è venuto sempre meno, sostituito da una serie di attori alter-ego).
Gli anni ‘80 e ‘90 lo vedono andare ancora sulla commedia dedicata principalmente alle relazioni e ai rapporti umani. Interviene ancora in prima persona come attore, consolidando la sua maschera.
Poi negli anni 2000, con “Match Point” c’è un punto di svolta. Un film drammatico, che esprime una visione della vita amara e disincantata, eleggendo il caso come giudice delle vicende umane. Da qui in poi il suo cinema si fa sempre più diretto, con ritorni nella commedia, alternate a storie borghesi e ritratti di personaggi. Forse l’ultimo lampo di genio significativo si ha con “Blue Jasmine”, ritratto di una figura femminile impareggiabile.
Il resto è trascurabile, compreso un “Midnight in Paris” osannato dal pubblico, ma che propone una serie di cliché sulla capitale parigina (elemento che comunque lo lega anche ai meno amati “Vicky, Cristina Barcellona” e “From Rome To Love”). Allen voleva raccontare le capitali europee come aveva fatto con Manhattan, ma ottiene poco più che le cartoline di un attempato turista americano.