"Era un mio compaesano, mi ospitava perché nona avevo casa. Ogni volta che la moglie usciva, mi violentava". "Quando siamo arrivati nel parcheggio, ha chiuso tutte le porte dell'auto: e mi ha stuprata". "Quel pomeriggio la zia non c'era, e nemmeno mio cugino: in casa c'era solo mio zio. Indossavo una bellissima gonna rossa scozzese". "Stavo tornando a casa dall'allenamento, mi hanno avvicinata. Erano su un furgone. Mi hanno violentata e picchiata. In ospedale, con prognosi 15 giorni, un giornalista mi ha chiesto: com'eri vestita? Mio padre lo ha buttato fuori dalla stanza".
Sono alcune - solo alcune, meno della metà - delle testimonianze affisse ai pannelli della mostra di Amnesty International "Com'eri vestita", allestita ieri 26 novembre a Mondovì. Una mostra dura, durissima. Contro i pregiudizi, contro gli stereotipi, che ricostruisce fedelmente gli abiti delle vittime di violenza sessuale quando sono state stuprate. La mostra era in piazza Monteregale, all'Altipiano. Verrà spostata in varie zone della città.
Ecco alcune immagini:
«Una mostra per abbattere gli stereotipi - hanno ricordato, ieri all'inaugurazione, Amnesty e il Comune -. Quante volte, davanti a un caso di stupro, sentiamo la frase: "ma lei com'era vestita"? Lo stupro non viene commesso da per colpa di un vestito: viene commesso per colpa di un uomo». Ricordando che, in Italia, è solo dal 1996 che lo stupro è un reato penale contro la persona: prima era considerato "reato contro la pubblica morale".
La mostra è stata inaugurata in occasione della "Camminata dei cappellini rossi" organizzata per il 25 Novembre, dal Centro antiviolenza di Mondovì "L'Orecchio di Venere".
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