«Era un mio compaesano, mi ospitava perché nona avevo casa. Ogni volta che la moglie usciva, mi violentava». «Quando siamo arrivati nel parcheggio, ha chiuso tutte le porte dell'auto: e mi ha stuprata». «Quel pomeriggio la zia non c'era, e nemmeno mio cugino: in casa c'era solo mio zio. Indossavo una bellissima gonna rossa scozzese". "Stavo tornando a casa dall'allenamento, mi hanno avvicinata. Erano su un furgone. Mi hanno violentata e picchiata. In ospedale, con prognosi 15 giorni, un giornalista mi ha chiesto: com'eri vestita? Mio padre lo ha buttato fuori dalla stanza».
Sono alcune - solo alcune, meno della metà - delle testimonianze affisse ai pannelli della mostra di Amnesty International "Com'eri vestita", ora allestita nell'atrio dell'ex Tribunale di Mondovì Piazza. Sarà visitabile sino al 7 dicembre, poi si sposterà sotto i portici.
La mostra, nata nel 2013 da un’idea di Jen Brockman dell’Università del Kansas, gira l’Italia grazie all’Associazione Libere Sinergie, che ne propone un adattamento al contesto socio-culturale del nostro Paese, e all’impegno dei gruppi locali di Amnesty International Italia nell’ambito della campagna #IoLoChiedo.: il sesso senza consenso è stupro”, volta a chiedere un adeguamento della legislazione italiana alle norme internazionali, modificando l’articolo 609-bis del codice penale per considerare reato qualsiasi atto sessuale senza consenso.
«Una mostra per abbattere gli stereotipi - hanno ricordato, all'inaugurazione, Amnesty e il Comune -. Quante volte, davanti a un caso di stupro, sentiamo la frase: "ma lei com'era vestita"? Lo stupro non viene commesso da per colpa di un vestito: viene commesso per colpa di un uomo». Ricordando che, in Italia, è solo dal 1996 che lo stupro è un reato penale contro la persona: prima era considerato "reato contro la pubblica morale".