Il vescovo Egidio nella notte di Natale: “Gesù non possiamo scartarlo con i regali. Deve nascere nel cuore”

Un richiamo a farsi coinvolgere dal mistero-evento di Betlem, bypassando le distorsioni del consumismo

«La sapienza della liturgia distingue la lettura del Vangelo che viene proclamata nella notte di Natale e quella del mattino successivo – ha detto il vescovo Egidio Miragoli nell’omelia della Messa della notte di Natale in cattedrale a Piazza –. Ed è una differenza che crea completezza. Perché il passo di Luca è pura narrazione, incanto della Notte Santa, scena del presepe: consolazione che il nostro animo ha bisogno di ricevere ogni anno, e che viene dalla certezza che il Bambino è nato, non si dimentica del mondo e scende fra noi; ma poi, il testo di San Giovanni, il prologo del suo Vangelo, svela il senso profondo dell’evento, la complessità del Natale, che non è semplice racconto. Dietro, c’è il mistero vertiginoso dell’incarnazione, di Dio che si fa Gesù, del Dio che si fa Verbo, il senso della nostra vita, del Dio che è “la Vita” e “la luce degli uomini” che “splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”. Parole che, se ci pensiamo, cambiano la Storia del mondo e dell’umanità, non più sola su questo pianeta che un grande poeta ha definito “atomo opaco del male”».

“Amore e l’cor gentil sono una cosa”
«E a proposito di poeti: una delle intuizioni più belle della nostra letteratura duecentesca, e in particolare del cosiddetto Stil novo, è che l'amore non può albergare se non in un cuore nobile, nella lingua di allora in un cuore “gentile" – ha continuato il vescovo –. Senza quella dimora, amore non può avere sede. Non a caso Dante ha scritto un sonetto intitolato “Amore e l'cor gentil sono una cosa”. Vorrei applicare questa breve premessa letteraria al mio e al nostro Natale e vorrei farlo usando un'immagine forte, questa: se il bambino di Betlemme non trova cuori nobili, cuori accoglienti, cuori capaci davvero di fargli posto, ebbene, quel bambino in realtà non ha sede, non ha culla, cioè non nasce. Sappiamo bene quale codazzo mondano il Natale trascina con sé: i panettoni cominciano ad occhieggiare nei supermercati già a metà novembre, le pubblicità del Natale consumistico martellano dalla fine di quel mese. E poi è tutto un susseguirsi di parole e di azioni, come gli auguri o l'acquisto dei regali, che intorno al Natale cristiano ruotano, che il Natale cristiano hanno come pretesto, ma che per il Natale cristiano non sono nulla. Gesù non nasce nel centro commerciale, Gesù non possiamo scartarlo con i regali, Gesù non vive nelle nostre frasi augurali».

Lui nasce solo in un cuore “nobile”
«Gesù, che, guarda caso, è amore, proprio come per l’amore avevano intuito i poeti del nostro Medioevo, nasce solo nel cuore “nobile”, non già perché perfetto, ma perché disposto ad accoglierlo: o nasce lì, o non nasce – ha proseguito mons. Egidio Miragoli –. Certo, possiamo disinteressarci di lui, possiamo lasciarlo, marginale e inutile, al freddo, fuori non solo dai nostri cuori e dalle nostre vite, ma anche dalle nostre case, dalle nostre auto, dai nostri negozi luccicanti, dai nostri discorsi, appunto, relativi al Natale nel senso di cenone, di vacanze, di riposo.
Esiliato lì, però, Gesù non nasce, oppure nasce morto, oppure nasce e muore subito, come il seme della parabola del seminatore se non trova una terra idonea a farlo germogliare. Se vogliamo davvero fare memoria della nascita del Cristo ed esserne partecipi, toccati dalla Grazia di quell’evento, fare Natale davvero, se davvero vogliamo che Gesù nasca anche in questo anno 2023, bisogna che il nostro cuore si converta, rinunci alle sue zone d'ombra e faccia posto alla luce di quel bambino che nasce nella notte di Betlemme. Il che, naturalmente, significa rispondere positivamente a ciò che quel bambino rappresenta, alla “buona notizia” che porta nel mondo, alla parola che predicherà lungo le strade di Galilea e che il Vangelo ci ha consegnato».

“Io sto alla porta e busso”
«In una parola: ad ogni Natale, Gesù bussa alla porta della nostra vita – ha aggiunto –. Al di qua di quella porta ci sono le nostre debolezze, le nostre meschinità, i nostri egoismi, le nostre inadempienze. Come siamo sul lavoro, in famiglia, con il coniuge, con i figli; come siamo con la nostra vita spirituale; le preghiere che recitiamo malamente o che ci diciamo che dovremmo recitare, ma che sulle nostre labbra non affiorano mai. Al di qua di quella porta c’è il nostro amore per il denaro, ci sono le nostre superbie, le nostre invidie, i nostri rancori cui non sappiamo opporre la forza liberante del perdono; ci sono le nostre ambizioni per le quali siamo disposti a percorrere vie disonorevoli, ci sono le nostre rassegnazioni, il nostro senso di fallimento tanto comodo per giustificare ogni tipo di inerzia, c’è la nostra pigrizia di fronte al bene e il nostro lassismo davanti al male».

Apriamogli davvero!
«Un quadro di William Hunt conservato nella cattedrale di San Paolo a Londra rappresenta tutto ciò attraverso le erbacce cresciute davanti a una porta evidentemente chiusa da tempo. Una porta senza maniglia esterna, che dunque si può aprire solo da dentro – ha concluso il vescovo –. A quella porta bussa un Cristo che regge una lampada, e il quadro si intitola “La luce del mondo”. Con la forza dell’immagine, quest’opera esprime ciò che sto cercando di dire in parole. Gesù bussa alla porta della nostra coscienza. Lo fa ogni giorno, ma tanto più lo fa nella Notte di Natale. La maniglia l’abbiamo noi, noi soli. Lasciamoci interpellare. Non chiudiamo i battenti ma neppure fingiamo di aprirli per pochi minuti di più o meno facile commozione. Apriamogli davvero, perché la sua nascita coincida con la nostra rinascita. Credo che tutti sappiamo, ciascuno per sé, quali punti del nostro vivere richiederebbero conversione, cambiamento, ripensamento, novità di cuore. Ne abbiamo chiara la gerarchia, per gravità e urgenza. Possa il Bambino che celebriamo questa notte aiutarci a mettervi mano, perché la nostra vita sia vita davvero. Perché possiamo vivere e non vivacchiare trascinandoci nelle ombre in cui ci siamo acquartierati, nei giorni e negli anni. È il mio augurio e la mia preghiera».

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