C'è un mondo che appartiene ormai al passato, un passato non forse così remoto in termini assoluti, ma che, a guardarlo in questa epoca digitale, sembrano passate ere geologiche. La cultura popolare del '900 in Italia si è trasmessa soprattutto attraverso i palchi mobili, i piccoli teatri nelle città di provincia, in quelli di parrocchie ed oratori, ed era fatto per lo più da avanspettacolo. Un mondo che arrivò anche alla TV o al cinema con Totò, nel teatro dei De Filippo, con Anna Magnani, nei personaggi di Monica Vitti e Alberto Sordi in Polvere di Stelle e, qui da noi, nelle esperienze di Macario, e che sfociò qualche decennio più tardi nel cabaret di Gaber, Jannacci e Farassino.
Un mondo oggi dimenticato, ma che ritrova una vita completamente nuova e con nuove declinazioni; un'arte, quella fatta dal basso, che per emergere ha bisogno di un pubblico e di spazi. In questo tipo di subcultura, la mancanza di soldi o di impieghi non necessariamente è sinonimo di cosa fatta tanto per fare, di cialtroneria, al contrario, è impegno, dedizione, e grandi capacità.
Questo si incarna nello spirito del Festival di Sanrito svoltosi nello scorso week-end a Cuneo e che da 8 edizioni e quasi 10 anni, porta in provincia un’idea di musica un po’ diversa, che non è tanto quella di una “corrida”, perché di “sbaraglio” c’è assai poco.
Il vincitore di questa edizione Niccolò Maffei (orfano nel suo duo del febbricitante Eugenio Rodondi), salito sul palco per ritirare il premio e ripetere la canzone, ha sintetizzato con una battuta il senso di questi concetti: “non so se vi rendete conto di ciò che sta succedendo a Cuneo, con questo piccolo Festival”.
Lui, che di organizzazione di eventi ha già avuto esperienza (con il Diavolo Rosso e con le programmazioni “off” di AstiMusica), con una battuta ha reso onore ad una produzione che propone un piccolo festival di canzoni (poi vedremo quanto grandi) organizzato in modo efficiente, con una tecnica pressochè professionale, ed una orchestra che – capiterà prima o poi – richiederanno anche al festival “più grande” di Sanremo.

Una critica che risulta al contempo, e soprattutto, la constatazione di un dato di cronaca riguarda la scelta proprio delle canzoni in gara: parrebbe che l’artista che cerca, specie in provincia, un palco per esibirsi – lo si evince da quello che il mainstream ha ri-proposto a Sanremo nel 2023 e dalla cinquina della finale, e si consiglia a tal proposito il bel articolo del collega Jacopo Tomatis su Il Giornale della Musica, qui – abbia caratteristiche diverse rispetto a ciò che oggi cerca il pubblico ascoltatore.
Una forma di scollamento tra chi musica la fa o la vorrebbe fare, e dove la musica in realtà si indirizza per arrivare ad un pubblico il più possibile ampio; un ragionamento che a più riprese su queste colonne è stato affrontato: poco rap e poca trap se non online su canali che danno la possibilità di registrare basi musicali facilmente caricabili per lo streaming, poche voci femminili nonostante il numero e la varietà di cosa si trova invece e soprattutto fuori dai nostri confini (si pensi negli ultimi anni ad artiste Taylor Swift, Dua Lipa, Billie Eilish, Lana del Rey o del fenomeno 2022 Rosalìa, senza scomodare quelle più famose e pluripremiate).