Miriana, di ritorno dal Kenya: «Abbiamo tanto da imparare da chi non ha nulla»

La 28enne infermiera racconta la sua esperienza a Matiri, come volontaria in Ospedale: «Torno con la mente leggera e il cuore pieno. Le persone hanno grande ricchezza d’animo»

Miriana a Matiri, dove è stata impegnata come infermiera volontaria all'Ospedale

Dopo un giorno intero di viaggio, mercoledì 15 febbraio è rientrata alla base, a casa sua, a Magliano, la 28enne infermiera Miriana Barberis, reduce da due intense settimane come volontaria in un Ospedale in Kenya. Miriana, che lavora al “Santa Croce” di Cuneo, ha deciso di trascorrere così i quindici giorni di ferie che aveva a disposizione, tornando in Africa per la terza volta, a sostegno di chi è in difficoltà. Ospitata e accolta da Fratel Beppe Gaido a Matiri, un piccolo villaggio nella savana, a sud del monte Kenya, si è messa subito a disposizione, facendo un po’ quello che c’era da fare. «Principalmente lavoravo nel reparto donne – spiega, un paio di giorni dopo il suo ritorno –, ma ho prestato assistenza anche nel reparto uomini, al Pronto soccorso, in maternità, ho misurato la pressione ai pazienti che entravano in Ospedale e ho anche assistito ad alcuni interventi come infermiera in sala operatoria». Rispetto ai suoi due viaggi precedenti, ci ha raccontato che questa volta ha trovato un ambiente ospedaliero molto meglio organizzato e più professionale, segno che a poco a poco si stanno facendo progressi anche in campo sanitario, nonostante le difficili condizioni di vita e i molti problemi quotidiani con cui ci si deve confrontare. «Finito il turno in Ospedale, pranzavo con gli altri volontari, poi andavamo un po’ in giro per il villaggio, alla scoperta dei dintorni – prosegue –. La cosa che più mi rimarrà nel cuore sono gli occhi e i sorrisi dei bambini, dei ragazzi, delle persone che cercavamo di aiutare, di far stare meglio. Torno a casa con la mente leggera ed il cuore pieno, arricchita più che mai dal calore di quelle persone. Sono stata accolta a braccia aperte, senza remore, come fossi sempre stata lì, come fossi una di loro. Abbiamo tanto da imparare dalle popolazioni di quei posti: non hanno nulla, ma hanno una grande ricchezza d’animo. Li vedevo illuminarsi per una parola di conforto, per una carezza. Possiedono una gioia di vivere contagiosa, innata, che si percepisce “a pelle”. Insomma, per me si chiude un’altra esperienza dalle emozioni fortissime. Forse quella che più mi ha reso felice in assoluto. Ringrazio lo staff, i pazienti, i volontari, tutti coloro che hanno condiviso con me questa esperienza indimenticabile e ovviamente fratel Beppe, per la sua speciale accoglienza».

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