Giovanni Bruno, vita da chef sul superyacht Tranquility

Il cuoco monregalese gira il mondo a servizio di clientele diverse, compresi diversi VIP. La sua storia sul magazine internazionale “Imperium”

Giovanni Bruno

Più del 70% della sfera terrestre è coperta da oceani e mari: elementi fondamentali nella vita dell’uomo, ma da sempre anche una straordinaria via di comunicazione e di turismo. Per chi ne ha le possibilità anche con tutte le comodità possibili e immaginabili, dalla crociera al panfilo. O ancora più su. Come il Tranquility, non uno yacht, ma un superyacht di 91,50 m varato presso il cantiere Oceanco di Alblasserdam (Paesi Bassi) e di proprietà di un gruppo malese. Dedicato a super crociere esclusive in tutto il mondo, è noto per essere uno dei più belli sul mercato. Un’esperienza unica, ovviamente non per tutte le tasche.
Le strutture della nave (con inserti in legni e marmi di pregio) includono una sauna, una pista di atterraggio per elicotteri, una piscina, una palestra, un centro benessere, un cinema e una vasca idromassaggio sul ponte. È abbastanza? No, perché, ovunque si approdi, l’esperienza culinaria è fondamentale per apprezzare un luogo o un viaggio. Per questo il Tranquility (che può ospitare fino a 22 ospiti con equipaggio di 31 persone) si affida ad un’eccellenza monregalese come Giovanni Bruno, capo chef a bordo. A raccontare la sua storia è stata in questi giorni la rivista “Imperium”, specializzata in contenuti che illustrano il meglio del settore del lusso. «Mentre lavoravo in un ristorante all’isola d’Elba sono stato avvicinato da un cliente che mi ha offerto un posto sulla barca come suo chef. Da lì è partita la mia carriera nello yachting (navigazione da diporto su mezzi privati, ndr)». Giovanni Bruno ha iniziato il suo viaggio in giovane età e, come spesso accade, la scintilla è sbocciata nella casa di famiglia. Una passione condivisa con la sorella Simona, impegnata nel settore catering. «Cucinavo spesso con mia nonna e piano piano mi appassionavo di più ai piatti che preparavo. Poi la mia carriera di cuoco professionista si è avviata 22 anni fa, dopo aver compiuto 18 anni». Da qui è partito un lungo e proficuo percorso che da Mondovì, passando per l’Istituto Alberghiero e qualche esperienza in città, lo ha portato a lavorare negli Stati Uniti, in Australia, poi in cucine importanti come quella di un mostro sacro come Gualtiero Marchesi o al Savini di Milano. «All’Elba lavoravo con l’amico Andrea Fraire (di cui è anche testimone di nozze, ndr), altro chef monregalese che adesso lavora ad Honk Kong e gestisce 90 cuochi in un club super esclusivo. Con il primo armatore ho lavorato tanto in villa in Israele e a Londra, con il secondo in villa a Dubai».
La cucina è passione e fatica, ma un ristorante sulla terraferma è comunque un porto sicuro. Su uno yacht che gira il mondo a servizio di clientele diverse, compresi diversi VIP internazionali (ma tutto è top secret), non ci sono schemi ripetibili. «In un ristorante hai un menu fisso, per il quale sei sempre preparato. Sullo yacht tutto è fluido, devi sempre essere all’erta, pronto ad adattarti alla situazione successiva. Cerco di recarmi nei mercati alimentari locali e di assecondare le richieste degli ospiti. La più insolita? Una frittata di salsiccia viennese ricoperta di caviale».
Da bravo piemontese, spiega Giovanni nell’intervista, «ho una propensione per il vino Barolo, ma quando un viaggio impegnativo è finito, però, niente aiuta meglio a rilassarsi di un Negroni».
Ma cosa lascia professionalmente (e non solo) un’esperienza di questo genere? «Il contatto con tutte le culture del mondo impari, sempre a conoscere gente e mondi nuovi» ci spiega Giovanni, nei giorni scorsi in Francia. Arriverà il momento di restare di nuovo a terra? «La voglia di fermarmi è tanta ed è quasi giunto il momento, sto lavorando a un nuovo progetto».

 

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