Il docente monregalese Tomatis pubblica un libro su “Bella Ciao”

Jacopo Tomatis, docente all’Università di Torino, ha pubblicato uno studio sull’album simbolo di una generazione italiana. Nei prossimi mesi sarà tradotto e uscirà anche in Italia

Nel dibattito pubblico una delle costanti che periodicamente si ripropone è la polemica su “Bella ciao”: basta che qualcuno la canti o, viceversa, scelga di non farlo perché nuovamente si accenda la polemica tra opposte fazioni. Tradizionalmente considerato uno dei canti fondamentali della Resistenza, almeno sulla carta “Bella ciao” dovrebbe essere una canzone che unisce, non che divide, un brano che simboleggia la liberazione, la resistenza all’invasore. Eppure è diventato un vero e proprio nervo scoperto della nostra società: vissuto in modo viscerale come un distintivo d’appartenenza da alcuni, odiato da altri che lo considerano un inno di parte. Ed è una contraddizione tutta italiana, visto che all’estero viene letto semplicemente come una canzone di libertà. A “Bella ciao” come canzone, ma soprattutto come disco, ha dedicato una monografia il docente universitario monregalese Jacopo Tomatis, che insegna all'Università di Torino. Il testo è uscito in inglese per la casa editrice americana Bloomsbury, ma è notizia di questi giorni che nei prossimi mesi avrà anche un’edizione italiana. È Tomatis stesso a raccontarci la genesi del progetto in una chiacchierata che abbiamo fatto con lui.


«Il libro fa parte di una collana molto bella secondo me, 33 e 1/3 e raccoglie brevi monografie dedicate a dischi classici. Questo è il primo dedicato a un disco italiano. Quindi non racconto solo la canzone “Bella Ciao”, ma tutto l’album del 1965, che è stato una pietra miliare fondamentale per la nascita del cosiddetto folk revival italiano e per la riflessione sul repertorio popolare e di tradizione. Il long playing uscì per l’etichetta “Dischi del sole” a firma del Nuovo Canzoniere Italiano. È stato il primo di questa casa alternativa, legata alla Sinistra, che pubblicò centinaia di dischi contenenti musica popolare di tante tradizioni e canti politici. All’epoca c’era una sovrapposizione tra questi mondi. “Bella Ciao” è stato un best seller, ma non è mappato in nessuna classifica, perché fu venduto in circuiti alternativi, alle feste dell’Unità, ad esempio. Però è stato un “must have” per i militanti, il disco che tutti hanno utilizzato per imparare canzoni popolari ancora adesso note e cantate, tra cui “Gorizia”, la pietra dello scandalo al Festival dei due mondi di Spoleto, o “Sciur Padrun da li beli braghi bianchi”. Va ricordato che il disco uscì in seguito allo spettacolo del 1964 a Spoleto, che creò grande scalpore. Attraverso il libro ripercorro il contesto e la genesi dell’album, dallo spettacolo al disco e alla canzone».

Cosa ha rappresentato quell'album per i militanti di quella generazione ma soprattutto per chi è venuto dopo?
Riccardo Tesi, musicista che nel 2014 ha presentato uno spettacolo proprio per il cinquantennale di “Bella Ciao”, spettacolo tutt’ora in giro, racconta come da ragazzo in casa sua quello fosse l’unico disco presente, e sia stato decisivo per la sua formazione. È un bel segnale di come questo oggetto sia stato così influente anche nelle generazioni successive. I dischi servono a questo: a passare tradizioni, immaginari. Io stesso da bambino ho ascoltato “Bella Ciao” da bambino, attraverso la cassetta, e la mia passione per questo repertorio è venuta proprio da lì.


Interessante sarebbe riflettere sull’attualità, fatta di tonnellate di musica immateriale, rispetto al valore di un album in vinile, consumato a forza di ascolti e passato di generazione in generazione...
Riassumendo il tema in una battuta (sarebbe possibile scriverci più di una tesi di dottorato) il passaggio allo streaming è interessante perchè consente l’accesso a risorse infinite. All’epoca i ricercatori fissavano nei dischi canzoni che venivano raccolte e registrate dalla viva voce dei testimoni. Un repertorio quindi raggiunto e messo insieme con fatica. Oggi possiamo ascoltare qualsiasi cosa in qualsiasi momento, con risorse ufficiali e non. Abbiamo però perso la persistenza degli ascolti. L’importanza di “Bella Ciao” è legata a quel mondo. È difficile dire se un mito del genere si potrebbe consolidare anche oggi, magari in maniera diversa e più ricca.


Come nasce “Bella Ciao”?
La storia di “Bella Ciao” è una storia di clamorose smentite sull’origine della canzone, ed è estremamente intricata. La canzone ha le sue radici in numerosi materiali di tradizione orale. Il primo momento in cui abbiamo da fonti scritte tracce di “Bella Ciao” è in Italia Centrale negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. Probabilmente era cantata dalla brigata Majella che sale dall’Abruzzo attraverso le Marche e arriva a combattere nell’ultimo periodo della guerra nella zona dell’Appennino. Lì abbiamo testimonianze scritte d’epoca studiate dallo storico Giacomini. È quindi documentato che fosse una canzone cantata dai Partigiani, ma infinitamente meno popolare di altre. Dopo la guerra “Bella Ciao” scompare per riapparire come canto già internazionalizzato attraverso i festival della gioventù che si tengono in Europa dalla fine degli anni ‘40 (se ne trovano tracce durante la guerra di Corea negli anni ’50). In Italia diventa notissima con la pubblicazione dei primi dischi, da Yves Montand (cantante francese di origine toscana) che nel 1962 la include in un album con un bizzarro arrangiamento jazz manouche. Da lì iniziano a uscire tanti dischi che la contengono, nel 1965 esce l’album del Nuovo Canzoniere Italiano e questo contribuisce a un nuovo successo della canzone con l’uscita di tantissime versioni, da Gaber a Milva. È un falso mito anche che fosse un canto legato alle mondine. Dentro spettacolo e disco “Bella Ciao” sono contenute due versioni, una legata alle Mondine (Stesso testo ma al femminile, e con temi legati al lavoro) trovata da Giovanna Daffini. In questo i ricercatori ravvisano l’anello che congiunge le proteste dei lavoratori alla Resistenza. Purtroppo è un falso: dopo l’uscita dello spettacolo, alla redazione de "L'Unità" arrivò una lettera che testimoniò come la versione “mondina” della canzone sia stata scritta negli anni ’50. La notizia passò in sordina e l’enorme diffusione del vinile, che riportava la versione sbagliata, contribuì a consolidarla definitivamente.


Ha fatto molto discutere l’utilizzo di “Bella Ciao” nella “Casa di carta”, come leggi la scelta degli sceneggiatori di inserirla nella serie?
In quel caso è stata utilizzata proprio per il suo essere percepita come un inno libertario, come dicevamo prima. Viene cantata dai rapinatori alludendo alla rapina alla banca di Spagna come gesto anticapitalista. Questo evidenzia bene la differenza tra l’Italia e il resto del mondo: da noi questa canzone è legata alla Sinistra, grazie anche appunto al mito dello spettacolo “Bella Ciao”. All’estero invece è una bandiera per ogni battaglia per la libertà. Addirittura in Ucraina viene cantata dalle forze antiPutin, che però in molti casi non sono per nulla di sinistra, anzi sono molto nazionalisti. La cantano anche i Curdi, che combattono contro Erdogan. La "Casa di carta" l’ha sdoganata e le ha dato nuova popolarità nel senso dell’anticapitalismo mainstream.


Ha fatto molto scalpore il tweet di Rocco Tanica che sostanzialmente lamentava la povertà musicale della canzone, a dispetto del valore simbolico. Perché le canzoni come "Bella Ciao" diventano intoccabili?
È chiaro che il lato meramente musicale di ogni canzone può essere messo in discussione. Però quando una canzone arriva ad assumere un valore identitario così forte, che sia imposto dall’alto o che raggiunga una popolarità spontanea, diventa intoccabile. Ogni violazione è una lesa maestà. È come sporcare una bandiera. Il fervore identitario rischia di avere l’effetto opposto e cristallizzare in un’identità Il problema di “Bella Ciao” in rapporto alla Sinistra italiana, secondo me è che spesso ha rappresentato una “coperta di Linus”, come uno dei pochi tratti in grado di unire tutto il panorama e ricordare il passato glorioso. Anche per questo, nel bene e nel male, colpisce così tanto. È significativo, perché non c’è un altro brano che incarni così fortemente i valori dell’antifascismo ed ha questo ruolo da settant’anni. È un fatto che ancora oggi le divisioni della seconda guerra mondiale sono le matrici da cui si formano i valori in campo.

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