«Se la peste suina arrivasse in Granda i danni sarebbero devastanti»

«Se si riscontrasse il virus della Peste Suina Africana in un cinghiale in provincia di Cuneo gli effetti per l’economia del territorio sarebbero devastanti». Il bilancio che ha tracciato Confagricoltura Cuneo ieri, venerdì 11 maggio, ha un impatto inimmaginabile: «Nell’immediato si avrebbe un danno diretto per il comparto agricolo e alimentare di oltre mezzo miliardo di euro: il valore della produzione, infatti, è stimato in 188,5 milioni di euro, mentre quello della trasformazione in 496 milioni di euro. A questi andrebbero aggiunti i costi per lo smaltimento degli animali e il profitto mancante per il periodo di chiusura delle attività (almeno 12 mesi), senza contare che in Piemonte la Peste Suina Africana potrebbe essere dichiarata endemica, cancellando la possibilità di praticare l’allevamento suino per molti anni e mettendo in crisi la filiera delle Dop (Parma e San Daniele)».
Questo lo scenario delineato da Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Cuneo e Piemonte, venerdì 12 maggio presso la sede provinciale dell’associazione durante la presentazione dello studio realizzato da Confagricoltura Cuneo sui possibili ed eventuali impatti della PSA sull’economia del territorio, a sedici mesi dall’inizio dell’emergenza. «Inoltre, tutte le denominazioni d’origine protette della provincia di Cuneo legate alla filiera suinicola, in primis il Prosciutto Crudo di Cuneo Dop, verrebbero cancellate».  Sono intervenuti: il senatore Giorgio Bergesio, la deputata Monica Ciaburro, l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi, il presidente della Provincia di Cuneo, Luca Robaldo e i consiglieri regionali Paolo Demarchi e Carla Chiapello, oltre ad alcuni dirigenti della Regione Piemonte.

Le ripercussioni su tutto il settore suinicolo e, in generale, sull’economia provinciale sarebbero molte di più, come ha dichiarato il direttore di Confagricoltura Cuneo, Roberto Abellonio: «I danni indiretti di un eventuale caso di PSA in provincia di Cuneo si ripercuoterebbero su tutti gli attori dell’intera filiera (dalle aziende cerealicole a chi produce macchine agricole e attrezzature per le stalle, dai mangimifici ai macelli, fino ai trasporti e al commercio delle carni suine). Per non parlare degli impatti sull’occupazione: gli addetti all’allevamento suinicolo in provincia di Cuneo sono stimati in circa 3.100, a cui si aggiungono i 2.100 dell’indotto. Il solo costo per indennizzare il mancato reddito di questi operatori è quantificabile prudenzialmente in circa 130 milioni di euro l’anno. Poi ci sarebbero le spese per la realizzazione di nuove recinzioni metalliche, con un costo almeno pari a quello già ipotizzato per la fase attuale (10milioni di euro), mentre a seguito della sospensione dell’attività faunistico-venatoria in una nuova area infetta si assisterebbe a un’ulteriore proliferazione di selvatici con ripercussioni alle produzioni vegetali stimate in almeno 5 milioni di euro l’anno. Il bilancio potrebbe aggravarsi ulteriormente per l’intera economia del territorio, a causa dei danni indiretti al comparto turistico ricettivo. Nel caso di estensione dell’area infetta da PSA al territorio della provincia di Cuneo potrebbero essere bloccate o comunque fortemente limitate tutte le iniziative outdoor, con conseguente forte limitazione e/o blocco dell’esercizio di attività turistico-ricettive, agrituristiche, eno-turistiche e di vendita diretta di prodotti agricoli e del vino».
Allasia: «Verrebbe, inoltre, bloccata la ricerca dei tartufi, dei funghi, la raccolta delle castagne e di tutti i prodotti del bosco-sottobosco. Solo la Fiera internazionale del Tartufo Bianco di Alba genera un giro d’affari di circa 150 milioni di euro, senza contare gli altri tantissimi eventi, soprattutto autunnali, che subirebbero contraccolpi ingenti difficili da quantificare. In considerazione della gravità della situazione chiediamo l’avvio immediato di un vasto piano di contenimento della fauna selvatica all’interno e all’esterno delle zone di restrizione e una pronta modifica della Legge nazionale sulla Caccia (n.157/1992), strumento legislativo che risale ormai a 30 anni fa, per salvaguardare la filiera delle carni e dei salumi dal pericolo della Peste suina africana». «Gli abbattimenti sin qui attuati (oltre 27.000 capi nel 2022) seppur significativi, si sono dimostrati insufficienti, rivelando in modo evidente l’abnorme proliferazione di cinghiali che deve essere ricondotta a una popolazione compatibile con l’equilibrio agricolo ambientale del territorio», ha aggiunto Abellonio.

Sulla situazione è intervenuto in video collegamento anche il presidente della FNP suinicola, Rudy Milani: «L’eradicazione della Peste Suina non è una scelta, ma un obbligo di legge, per cui chi non si adopera per adempierlo se ne deve assumere le responsabilità. Ciò che è stato fatto fino ad ora non è sufficiente per debellare la malattia, lo dicono i continui ritrovamenti di cinghiali infetti, in aumento. Le reti sono totalmente inutili, c’è solo uno strumento da adottare: il contenimento massiccio dei cinghiali. Non vogliamo sterminare i cinghiali, come qualcuno ci accusa, ma occorre riportare in equilibrio una situazione che è sfuggita di mano e che minaccia un comparto fondamentale dell’economia nazionale. Questo si può fare soltanto cambiando le regole attuali della gestione di questa emergenza». Annamaria Barrile, direttore generale di Confagricoltura, in collegamento da Roma ha ricordato come da oltre un anno l’associazione cerchi di accelerare ogni procedura di gestione della situazione, perché ogni minuto perso impatta negativamente non solo sull’economia, ma anche sull’immagine di una filiera fiore all’occhiello del “Made in Italy”. Barrile ha altresì precisato che quando ci si trova davanti ad emergenze come queste il tempo è un fattore rilevante; servono quindi interventi tempestivi e procedure di urgenza.

Luca Robaldo, presidente della Provincia: «La Provincia ha messo e sta mettendo in campo per quello che considera un problema prioritario e urgente. È di pochi giorni fa l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio provinciale di un regolamento apposito che prevede compensi ai soggetti che collaborano all’abbattimento dei cinghiali, cioè tutor, selecontrollori, guardie venatorie volontarie appositamente formate e cacciatori singoli o in squadre. Il Corpo di Polizia locale faunistico ambientale, seppur molto sottodimensionato rispetto all’organico previsto dalla stessa Regione Piemonte (15 guardie anziché le 28 previste), lavora per coordinare gli interventi dei selecontrollori, guardie venatorie volontarie e cacciatori formati in modo specifico al controllo del cinghiale, oltre a praticare direttamente gli abbattimenti dei capi su tutto il territorio provinciale. La Provincia sta fornendo gratuitamente le gabbie per la cattura dei cinghiali (finora un centinaio) e decine di reti di protezione delle colture a favore delle imprese agricole. L’impegno sul territorio è quotidiano: martedì 16 maggio la Provincia sarà in Alta Langa a Gorzegno per incontrare 24 capisquadra e coordinare con la presidente dell’Atc Cn5 l’abbattimento dei cinghiali con le varie modalità previste dal nuovo regolamento».

 

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