Galilea, Daniela e Neve hanno riassaporato la libertà. Sono tre bei ricci timidi, che sotto la loro morbida palla di aculei comunque lasciano intravedere un po’ il musetto e le zampine. Gli animaletti, due femminucce e un maschietto, vengono dal periodo in cura presso il centro di recupero specializzato “La Ninna” a Novello. Lo scorso venerdì sono tornati a zampettare liberi, immersi nel verde accogliente del “Parco di Gisella” ai Ronchi di Carrù. È il vasto spazio che Aldo Cavarero ha accudito, messo in sesto e curato in memoria della moglie, Gisella Filippi. Inaugurato un anno fa è diventato un luogo di ritrovo abituale di oche, anatre, rane, carpe, uccelli vari e pure un paio di tartarughe. E, ora, anche qualche riccio. Quelli che sono ospitati a “La Ninna” di Novello (quasi 170 in tutto) hanno bisogno di essere medicati e nutriti. Neve, ad esempio, era stata trovata immobile sulla neve e gravemente debilitata. Ora pesa 990 grammi. Daniela era un cucciolo sottopeso, mentre Galilea era stata recuperata da un cane in un parco. Al netto dei predatori naturali – principalmente il tasso – uno dei pericoli più grandi per i ricci resta l’uomo, con le sue auto, i decespugliatori e il fuoco.
Il centro
“La Ninna”, centro di recupero per ricci selvatici, viene avviato dal 2014, dal nome del piccolo animaletto curato dal veterinario Massimo Vacchetta che poi è diventata la protagonista del libro “25 grammi di felicità” (tradotto in 14 lingue) e fonte di impegno per una bellissima squadra di volontari diffusasi dalle Langhe in tutta Italia. Questa storia d’amore si incastra perfettamente con quella racchiusa nel “Parco di Gisella”. L’habitat è l’ideale per i ricci, c’è una fonte d’acqua non troppo lontana, la frescura delle piante e la pace della natura. Grazie all’amicizia con Aldo, i volontari sono quindi venuti qui a portare i tre animaletti.
Pre-libertà
«Alle volte dobbiamo ancora rieducarli alla vita selvatica con un periodo di “prelibertà”», ci spiegano le due operatrici. È il caso di Galilea (762 grammi ben portati), per cui viene costruita sul posto una gabbia con tanto di casetta interna. In quell’ampio “bilocale” avrà modo di adattarsi dopo il periodo di cattività. Passata una decina di giorni, sarà lasciata libera di spostarsi e andare dove vuole. Sono già pronti alla vita autonoma, invece, gli altri compagni Daniela e Neve, che vengono liberati un centinaio di metri oltre, senza gabbie né limitazioni. Hanno solo un bancale con la paglia da utilizzare, se lo vorranno, come punto di appoggio. Li lasciamo lì, “chiusi a riccio” e un po’ spaventati dal nostro rumore. Al centro di recupero ci sono però anche i ricci disabili e quelli che non hanno le capacità per uscire dalla cattività. Questi vengono assistiti nelle gabbiette sempre con amore, giorno e notte. «Un riccio in natura mediamente vive sui 3-4 anni, in cattività può arrivare anche oltre. Ultimamente abbiamo salutato una femminuccia che è vissuta quasi 9 anni. Sarebbe come dire, per noi umani, un’ultracentenaria», ci spiegano dal centro di Novello. Ma cosa fare quando si trova un riccio in difficoltà? «Innanzi tutto, riconoscere l’emergenza. Se ha una forma molto allungata quando si chiude significa che è magro e gravemente debilitato. Altrimenti la forma sana è a palla “rotonda”. Inoltre anche un riccio allo scoperto, in pieno giorno è anomalo. Bisogna però fare attenzione ai prelievi incauti: per dubbi o emergenze è sempre meglio chiamare al numero 324 098 0940». Sono tipetti solitari, che amano per lo più il buio. Il riccio non è classificato a rischio estinzione, ma ciò non toglie che si debba averne cura, proprio come tutti gli animali, specie i più piccoli e indifesi.