Il vescovo: «Ripartire dalle intuizioni e dagli input della GMG, per cambiare passo»

Apertura dell'anno pastorale. Ritrovare il proprio posto in una vita per il Bene, uscire dalla logica dell’apparenza, fidarsi di Dio e non solo del cellulare. In vista del Giubileo del 2025, il Papa si attende nel 2024 un anno di preghiera assidua e vissuta

Si è ancora gremita la cattedrale (dopo l’evento, l’altra settimana, dell’ordinazione presbiterale per don Cristiano Bellino) domenica sera per il momento dell’apertura ufficiale del nuovo anno pastorale. Erano attesi gli operatori pastorali dalle zone e dalle parrocchie, nonché i catechisti, gli animatori componenti dei Consigli pastorali parrocchiali, i membri dei CAE parrocchiali, i ministri straordinari dell’Eucaristia, nonché i giovani della Pastorale giovanile (soprattutto quelli reduci dalla incoraggiante esperienza della GMG a Lisbona e quelli che nel pomeriggio hanno partecipato all’iniziativa “Animati per animare”, quale occasione formativa prepararsi ad animare la vita degli oratori). All’interno della preghiera dei Vespri, con la presidenza del vescovo e con l’animazione del canto a cura del Coro della Pastorale giovanile, lo stesso mons. Egidio Miagoli ha indicato i percorsi e gli obiettivi dell’anno pastorale che si ha davanti. Particolare intensità, nel momenti prolungati di silenzio, davanti al Santissimo Sacramento, che si è vissuta ed espressa in un atteggiamento consapevole di preghiera coinvolgente.

«È la sesta volta che con voi inizio un nuovo anno pastorale, e questa celebrazione è indubbiamente tra le più vivaci e festose, grazie alla presenza di tanti adolescenti e giovani catechisti e animatori dei nostri oratori – ha detto il vescovo domenica sera, in cattedrale a Mondovì Piazza, per l’avio dell’anno pastorale 2023-2024 –. Saluto tutti di cuore. Questa sera, in particolare, spiccano nell'assemblea i colori caldi della GMG grazie alla presenza dei giovani che hanno rappresentato la nostra Chiesa a questo evento mondiale. È stato, quello della GMG, un momento ecclesiale troppo importante per essere ora archiviato nell'album dei ricordi. Certo, è ormai memoria, ma sta a noi renderlo memoria attiva, anche perché si è trattato di un avvenimento destinato non solo ai partecipanti, per quanto numerosi, ma a tutti i credenti della diocesi: sarebbe perciò bello che i suoi riflessi non si spegnessero, ma generassero curiosità, fede e, perché no?, speranza. Così, mentre ci proiettiamo in avanti nel nuovo anno pastorale, io vorrei partire proprio dalla GMG e dalle sue conseguenze».

  1. DARE CONTINUITÀ ALLA GMG E AI SUOI CONTENUTI
    «Muovo da un dato numerico: circa 250 partecipanti sono un patrimonio da non disperdere, un bel potenziale per la nostra Chiesa – ha proseguito il vescovo –. Ma esso ora deve divenire lievito nella pasta delle nostre comunità; bisogna che chi era a Lisbona trasmetta come per contagio il clima, le idee, l’entusiasmo che l’esperienza gli ha lasciato, perché la GMG voleva stimolare non solo alcuni, ma tutti i giovani a vivere bene, a essere protagonisti nella Chiesa e nel mondo. In fondo, i momenti forti servono proprio a questo: a far capire che si può vivere a un’intensità maggiore, con più vera consapevolezza, animati da una rinnovata e più autentica tensione al bene. Tra le tante suggestioni della GMG colgo e rilancio tre passaggi della Via Crucis, che è stata uno dei momenti più sentiti. Si parte da Gesù e da ciò che ha vissuto, per applicare a noi. Sono riflessioni e preghiere che toccano temi importanti e diventano indicazioni di marcia, patrimonio da non disperdere. Cito liberamente».

Tre grandi temi, tre auspici per i giovani e per tutti
«Nella quarta stazione, Gesù incontra la Madre. Gesù è incamminato verso il Calvario. Probabilmente, tra le urla della folla, Gesù ha sentito la voce di sua madre. Ha cercato il suo volto. L'ha trovato che diceva "sì" con la testa. "Sì". Era tutto quello che voleva vedere. Un segno di conferma. Un segno che proveniva dal puro amore. Come dire: “Va’ avanti, impégnati per il Bene e lo potrai constatare: Dio ti aiuterà”.  “Potesse parlare anche al nostro orecchio, la madre di Gesù… Parlarci d'amore, parlarci di impegno. Impegno per il Bene. Non lasciarci seduti in attesa. In attesa del “momento ideale”, della persona ideale, del lavoro ideale, della Chiesa ideale. Non lasciarci seduti a sognare, mentre il mondo va avanti senza di noi e senza ciò che avremmo da offrirgli”. “Maria, aiutaci ad abbracciare la nostra vocazione, cioè il nostro posto nel mondo, quello da cui meglio possiamo operare, perché è il nostro, quello per cui siamo fatti”».

«Nella decima stazione Gesù è spogliato delle vesti. Il Signore è stato spogliato, denudato. Anche senza vestiti, non smette di essere quello che è, perché non si è mai preso la briga di costruire un'immagine di sé stesso. Noi, invece, viviamo in una terra di specchi dove ciò che conta è l'apparenza, l'immagine. Un selfie dopo l’altro. La tirannia del corpo giusto e del sorriso perfetto. Foto di sé stessi sui social in pose attentamente studiate. Post artificiali che aspettano i like degli altri. “Ci insegni, il Signore che non viveva per l'apparenza, ma per il Bene, a essere come Lui, a non vivere in funzione dell'immagine, ma nella fedeltà alla mia coscienza”».

«Nell’undicesima stazione Gesù viene inchiodato sulla croce. Quell’immagine, il crocifisso, che ancora colma le nostre chiese, le nostre strade, i sentieri delle nostre montagne, esprime il confronto tra l’amore e la violenza nel mondo. Oggi molte persone cercano disperatamente di sfuggire a situazioni disumane. Fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla mancanza d'acqua, dalle persecuzioni politiche. La loro casa ha cessato di essere il loro rifugio ed è diventata il luogo di una probabile morte. Cercano di rifugiarsi in qualche altro posto nel mondo, che un giorno potrebbero chiamare “casa”. “Inchiodato sulla croce, Signore, infondi coraggio a tutti i giovani costretti a fuggire per non perdere la vita. E a chi vive, comodo nella sua casa (a noi) dona un cuore come il Tuo”. Ecco tre temi, tra i tanti della Giornata della gioventù, che vorrei faceste vostri, da custodire e meditare, da approfondire: come possiamo impegnarci per il bene; come essere veri (in contrapposizione all’apparire); come prendersi a cuore il dolore del mondo, il dolore di chi soffre».

Tre raccomandazioni
«Da parte mia, vorrei integrare con alcune considerazioni, per non dire raccomandazioni, che aiutino a rendere fruttuosa quell’esperienza estiva anche ora che l’estate è finita – ha continuato il vescovo –. La prima è quella di passare dalla visibilità e occasionalità di esperienze forti a un vissuto quotidiano personale e di gruppo. Perché il momento esaltante abbia pienezza di senso e venga onorato davvero, bisogna che esso fecondi la normalità, le dia un poco della sua bellezza e della sua attrattiva, ogni giorno. La seconda è quella di pensare la propria testimonianza nel vissuto scolastico e dell’università. Non se ne parla mai, eppure a scuola e all’università trascorrete tante delle vostre ore e intessete tante delle vostre relazioni. A scuola, formate il vostro intelletto e spesso anche la vostra struttura morale. Perché, allora, non pensare anche a quell'ambiente, anche alle ore tra i banchi e le aule, come a un luogo e a un momento nel quale essere cristiani, lasciare trasparire le proprie scelte di fondo, riverberare ciò che è stato vissuto e capito a Lisbona? La terza è l’invito a compiere una decisione per la vita. E qui mi soffermo. Abbiamo ascoltato il Vangelo di Emmaus, con i due discepoli che riconoscono definitivamente Gesù risorto. Il cuore gli batte nel petto e partono senza indugio per Gerusalemme: vorrei che anche a voi il cuore ardesse e che anche voi trovaste il coraggio per partire definitivamente, a seguito di una scelta profonda e non più negoziabile per il Signore. Mi spiego».

A chi affidare la nostra vita, di chi “fidarci”
«Parlando della tirannia del corpo, ho accennato ai social. Inutile evitare il problema. Ci troviamo in un contesto socio-culturale in cui l’impatto delle tecnologie è vastissimo sulla nostra vita. Gli algoritmi sono tra noi – ancora mons. Egidio Miragoli –. Quante volte consultiamo il cellulare non principalmente per telefonare ma per chiedere quale strada fare, in quale locale andare a mangiare, che cosa visitare. Quando ci muoviamo, quando scriviamo, quando compriamo qualcosa, quando cerchiamo informazioni per decidere in realtà stiamo chiedendo a dei sistemi di intelligenza artificiale di suggerirci qualcosa. Da questo punto di vista l’umanità sta vivendo una trasformazione travolgente. Alla tecnologia infatti non chiediamo più solamente di fare quello che avevamo precedentemente deciso ma chiediamo di più, chiediamo che decida. Quando deleghiamo una decisione agli algoritmi, quando chiediamo a questi sistemi di prendere decisioni intelligenti evidentemente compiamo un atto di affidamento, ci fidiamo. Questo sviluppo tecnologico, sempre più sofisticato, incide sulla nostra libertà umana e storica perché stiamo affidando a qualcos’altro le preferenze della nostra vita, spesso senza domandarci quali sono le conseguenze. Ora, dovremo domandarci se questo atto di affidamento che compiamo ogni giorno sia adeguato, sia buono per la nostra vita e se effettivamente la tecnologia meriti un affidamento così incondizionato. La vicenda dei discepoli di Emmaus dovrebbe interpellarci: quella resa incondizionata e automatica alla tecnologia, non potremmo o dovremmo invece viverla rispetto a Dio e alla sua Parola? “Stolti e tardi di cuore, nel credere alla Parola dei profeti!”, rimprovera Gesù. Pensate se ogni giorno avessimo desiderio di Dio e fiducia in Dio almeno come viviamo il bisogno di avere fra le mani il cellulare, quel cellulare di cui ci fidiamo, quale maestro, in tante cose. Sarebbe un bel traguardo».

Testo integrale dell'intervento del vescovo sul giornale cartaceo di mercoledì 27 settembre

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