Perché gli abitanti di Carrù sono chiamati “Babi cru”? Tutto è partito da una semplice domanda e ha portato, per il momento, a una gustosa cena a base di un’antica varietà di pere. Nel mezzo ci sono voluti l’appassionato lavoro di ricerca del dott. Giuseppe Romanisio, commercialista; la coltivazione sperimentale avviata dal cugino Franco, già precursore della produzione dei nashi a Piozzo, e l’esperta mano dello chef Fabrizio Peirotti che ha riadattato il tutto nel menù ad hoc servito lo scorso venerdì sera al ristorante “Moderno” di Carrù. Una cinquantina di partecipanti al tavolo hanno potuto così gustare la tipicità dei “pruss babi”, una tipologia di pere che era ormai quasi del tutto scomparsa. Si è trattato della seconda tappa di un viaggio alla riscoperta delle origini inaugurato un anno fa, con la presentazione ufficiale delle nuove pere “ritrovate”. E pensare che un tempo erano così diffuse da diventare proverbiali: “Carù” era il “Pais di Babi cru”, un adagio riadattato nei tempi di magra con “cui ‘d Carù en temp ed carestia, se sfamu cui babi cru” (quelli di Carrù in tempi di carestia, si sfamano con i “babi” crudi, ndr). Contrariamente a cosa si potrebbe pensare, i rospi (“babi”, in dialetto), non c’entrano nulla. Il termine vuole indicare invece proprio questa particolare varietà di pere autoctone.
Sulle tracce dei “Babi”
«Mi sono incuriosito, ho iniziato a perlustrare le campagne, ma non ne ho trovata neanche una pianta», spiega Romanisio. «Anche parlando con i coltivatori e le persone della zona, nessuno sapeva più dove reperire quest’albero antichissimo o almeno un suo innesto. Con mia moglie Ivana, abbiamo vagato per l’intera regione, sulle tracce del “pruss babi”, passando anche per il Museo dei frutti antichi di Torino. Quando mi ero ormai arreso, per una fortunata coincidenza, parlando con mia suocera, ho conosciuto un vivaista appassionato, che teneva ancora questa varietà. Inutile dire che ho acquistato tutti gli esemplari disponibili: un paio di alberi sono stati messi a dimora nel giardino di mio cognato, proprio in centro a Carrù, gli altri, circa una trentina, sono stati piantumati presso l’azienda agricola di mio cugino Franco Romanisio». Dodici mesi dopo, il risultato è arrivato in tavola. Il matrimonio con le specialità locali, e lo diciamo a ragion veduta e con la pancia piena, è ben riuscito. Mangiare per credere i “babi cru” allo zenzero con cruda di Bue al coltello o in versione scottati al burro con le lasagnette o ancora come “senapata” ad accompagnare l’immancabile bollito. Al tavolo erano presenti amici e rappresentanti delle varie realtà del territorio quali il Consorzio del Bue grasso, la Confraternita, Slow food, la Cantina Clavesana, Agridiritti, l’Allasia Plant Ss con il vicepresidente Bam Domenico Massimino, i sindaci Nicola Schellino (Carrù) e Claudio Ambrogio (Bene Vagienna), il vice sindaco di Piozzo Sandro Scotto e la dirigente scolastica dell’Alberghiero di Mondovì Donatella Garello.
Le caratteristiche
«Questa annata – prosegue Romanisio – non è stata particolarmente fortunata, ma comunque sufficiente per servire una cena. Stiamo già lavorando sugli innesti del prossimo anno, la speranza è che possa diventare un prodotto di nicchia interessante sul mercato. È un simbolo della tradizione di Carrù, che sarebbe un peccato lasciar cadere nel dimenticatoio». Ma di cosa sanno i pruss “babi”? Dalla forma quasi circolare e una tipica colorazione “arrugginita” si presentano già subito diversi dalla più diffusa “martin sec”. È una pera a pasta dura, dolce e omogenea, non granulosa, con uno spiccato grado di acidità man mano che ci si avvicina al torsolo. Ricorda quasi il gusto amabile di una banana, unito a una punta di limone. Mangiata nuda e cruda (“cru”) è più aspra di una pera normale, ma gli utilizzi in cucina possono essere molteplici e da scoprire. Perché se è vero che i carrucesi sono tutti dei “Babi cru”, almeno che possano cominciare a gustare le bontà del “loro” frutto.