È fissata al 15 febbraio la data in cui la Procura di Genova chiederà il rinvio a giudizio di Annalucia Cecere come presunta autrice dell’omicidio di Nada Cella, un delitto avvenuto 27 anni fa. La donna, residente nella Granda dal 1996, è accusata di aver assassinato la segretaria 24enne nell’ufficio di via Marsala 14, a Chiavari, dove Nada lavorava come dipendente del commercialista Marco Soracco: era il 6 maggio 1996. Il movente: gelosia nei confronti di quest’ultimo, almeno secondo gli inquirenti. La Cecere a quei tempi aveva 28 anni, lavorava come addetta alle pulizie, aveva avuto un’infanzia tormentata e un figlio da un uomo molto più grande di lei, poi abbandonato. Poche settimane dopo ci fu il trasferimento repentino a Boves, dove l’indagata vive tuttora e dove ha ricostruito una famiglia.
Questo è ciò che sostiene il sostituto procuratore Gabriella Dotto, che due anni fa ha riaperto le indagini mettendo assieme i vari tasselli raccolti dalla criminologa Antonella Delfino Pesce e dall’avvocato della famiglia Cella. Di certo c’è che alcuni comportamenti tenuti in fase di indagini destano interesse da parte della magistratura: si sa anzitutto che Cecere ha cercato alcuni mesi fa un ex fidanzato, A.R. La Procura parla di «un vero e proprio tentativo di indurlo a ricordare che all’epoca dell’omicidio ancora si stavano frequentando. A.R. invece appare fermo nel ricordare che la loro relazione era senz’altro finita nel 1996 collegando il periodo a circostanze specifiche».
Perché ha tanta importanza sapere se una liason di quasi trent’anni fa fosse finita qualche settimana prima o dopo? Semplice: perché toglierebbe sostanza alle accuse, dimostrando che da parte dell’indagata non c’era nessun interesse sentimentale nei confronti di Soracco. Quanto all’alibi, Cecere ha detto agli investigatori di essersi recata al lavoro quel 6 maggio, a Sestri Levante, presso un dentista. L’ex datore di lavoro non è stato in grado di confermare né di smentire le sue parole: è passato troppo tempo.
Omicidio Nada Cella, la telefonata dell'indagata all'ex fidanzato
C’è però un altro particolare, nella conversazione con l’ex fidanzato, che dà adito ai sospetti: i due parlano infatti dei bottoni appartenuti a una giacca che A.R. aveva lasciato a casa di lei. Cecere, scrive la Procura, «lo informa di avere a suo tempo riferito ai Carabinieri che l’avevano perquisita, di aver buttato via la giacca, lui invece afferma di essere certo di averla conservata e usata dopo quei fatti per molti anni, per recarsi a pescare». Si tratta proprio dei famosi bottoni che secondo la criminologa costituiscono una prova contro Cecere: un bottone identico, ma più piccolo, perché privo della ghiara, era stato rinvenuto sul luogo del delitto, in una chiazza del sangue di Nada.
I dubbi riguardano anche la posizione di Marco Soracco e Marisa Bacchioni, il datore di lavoro della vittima e sua madre, che sono accusati di false dichiarazioni e favoreggiamento. Il pm sostiene che i due sapessero che Cecere era l’assassina e che abbiano taciuto: ma perché? Una possibile spiegazione, nelle carte dell’inchiesta, viene dalle rivelazioni che Nada fece allo zio: «Mia nipote Nada, – ha dichiarato il testimone – pochi mesi prima della morte, mi disse che in quel periodo era preoccupata per due motivi: il primo era relativo a delle grosse somme di denaro, contenuto in buste, che lei aveva notato girare in ufficio. Il secondo riguardava le avances che riceveva in maniera pressante dal titolare». La giovane segretaria avrebbe anche affermato che «il commercialista aveva compreso che lei aveva scoperto l’esistenza di giri di denaro sospetti e che le aveva detto che non le avrebbe più consentito di lasciare l’ufficio». Per il pm questo racconto «darebbe significato al silenzio serbato per anni da Soracco e dalla madre di lui sulla persona della Cecere: essere stato presente a una brutale aggressione e non avere avuto la forza o la capacità di intervenire, e avere paura di essere accusato di una qualche forma di complicità, appare ragione sufficiente a giustificare il silenzio».
Omicidio Nada Cella, l'esperienza come maestra della Cecere a Boves e Montaldo
Dalle carte emergerebbe anche la presunta indole impulsiva di Cecere. Gli investigatori hanno scoperto che la donna – maestra di scuola elementare a Boves e a Montaldo Mondovì, per un breve periodo a fine 2016 – venne sospesa dall’insegnamento e licenziata. Non solo per le continue assenze, ma anche perché nel 2015 afferrò un bimbo per la parte posteriore del collo e lo costrinse a inginocchiarsi «per visionare un muro leggermente scrostato a seguito dello spostamento di banchi».