\Sabato sera al teatro “Baretti” di Mondovì, con buon riscontro di pubblico, è andato in scena “Il cacciatore di nazisti” di Giorgio Gallione, monologo interpretato da Remo Girone, secondo appuntamento della Stagione teatrale della Città di Mondovì, in collaborazione con la Fondazione “Piemonte dal Vivo”. La prima impressione, sedendo in platea a sipario aperto, è che il regista voglia giocare sull’allure “noir” del personaggio principale, Simon Wiesenthal, quasi fosse un Philip Marlowe dell’Olocausto. Lo denuncia parzialmente la scenografia, che ricalca, appunto, quello che nell’immaginario giallistico classico è l’ufficio dell’investigatore privato, con pile di cassette contenenti i dati di centinaia di casi, personaggi e storie, una scrivania, una parete ricoperta di foto di occhi, e altri oggetti. Lo stesso ufficio sarà illustrato dall’attore protagonista, pezzo per pezzo, trasformando l’ambiente stesso in un espediente narrativo, come scopriremo di lì a poco. Naturalmente questa è solo una delle chiavi scelte dal regista e autore Gallione per dare vita a una pièce che pièce non è, ma è una sorta di centone, un monologo costruito andando a spigolare frasi, scritti, interviste di Simon Wiesenthal, nel tentativo di dare agli spettatori la possibilità di un faccia a faccia in cui il personaggio, scomparso nel 2007, torna in vita per raccontarsi a tutto tondo. Si direbbe che Girone/Wiesenthal “indossi” la stanza come veste la giacca e come, più tardi, re-indosserà il vecchio cappotto appuntato con l’infame stella gialla, nel ricordare i tempi delle persecuzioni da lui stesso vissute.
Wiesenthal patì sulla propria pelle tutti gli orrori dell’Olocausto, sopravvivendo per una serie fortuita di circostanze. Trascorse l’intera vita a cercare di dare giustizia ai sopravvissuti, assicurando ai Tribunali i criminali di guerra nascosti dall’organizzazione Odessa, dopo la guerra. Girone ripercorre le storie, i crimini, in una voragine di orrori che inghiotte ogni sfumatura possibile, ogni tentativo di allargare la dimensione dello spettacolo oltre il mero racconto biografico. L’attenzione dello spettatore è mesmerizzata dall’elenco di atrocità snocciolate dal protagonista, con l’apparente asetticità di chi maneggia storie così dolorose quotidianamente e ne è ormai avvezzo. Un volto di pietra da cui però traspaiono irrefrenabili l’emozione e la partecipazione. E Girone è molto bravo nel giocare su queste sfumature, con scatti che improvvisamente travolgono il personaggio, o incrinature emotive nella rabbiosa impassibilità del protagonista. Nel colloquio che ci aveva dedicato, Girone aveva rivelato lo studio fatto sulle interviste e sui video che riguardavano Wiesenthal, proprio per coglierne la gestualità, le espressioni. Un tentativo di fotografare il personaggio che va naturalmente oltre l’imitazione, per raccoglierne il testimone e quell’appello a non dimenticare su cui Wiesenthal ha basato tutta la sua avventurosa e dolente vita.
Prossimi appuntamenti: martedì 23 gennaio “Boston Marriage” (di David Mamet, regia di Giorgio Sangati e con Maria Pajato e Mariangela Granelli); domenica 4 febbraio “La Maria Brasca” (di Giovanni Testori). Gli eventuali biglietti residui potranno essere venduti nelle sere degli spettacoli nelle due ore che lo precedono e sul circuito vivaticket.it
La memoria e la giustizia: il dovere dei sopravvissuti
Remo Girone in solitaria veste i panni di Simon Wiesenthal e riapre i faldoni della memoria: le atrocità dell’Olocausto e il senso di un’esistenza spesa a inseguire la giustizia