«Si diverte a farci fare avanti e indietro», ha spiegato un brigadiere dei Carabinieri di Mondovì, parlando dei comportamenti per cui A.B., un monregalese noto alle Forze dell’ordine, è finito a processo con accuse di procurato allarme e rifiuto di fornire le proprie generalità. La sera del 23 ottobre di tre anni fa aveva chiamato il numero unico di emergenza 112 chiedendo l’invio di una pattuglia a Vicoforte, nella piazza del Santuario. Sotto una delle case affacciate sulla piazza, i Carabinieri avevano trovato la compagna dell’uomo: «Riferiva di essersi allontanata perché lui era agitato, dato che aveva bevuto». Era già successo altre volte, ha fatto sapere il brigadiere: la pattuglia aveva citofonato e chiesto conto di quanto accaduto. A.B., per tutta risposta, aveva rifiutato di fornire i documenti e aveva anche aggiunto: «Tra venti minuti ti faccio tornare, tanto se chiamo devi tornare per forza».
Detto fatto: giusto una ventina di minuti dopo il centralino dei Carabinieri aveva ricevuto una seconda chiamata e inviato di nuovo la pattuglia a Vicoforte. «Alla convivente hanno consigliato di andare a dormire da un’altra parte sebbene non si mostrasse violento», ha precisato il testimone. Dal richiedente, invece, nessuna risposta. Già in precedenza la stessa persona aveva allertato più volte il 112 per ragioni di poco conto: «Un giorno aveva chiamato, per sette volte, perché la convivente si era allontanata lasciando sul posto la propria auto». Condotte che il pubblico ministero Raffaele Delpui ha ritenuto penalmente rilevanti: l’imputato, «per fare ricorso sistematico al numero unico di emergenza, dove si smistano anche le emergenze sanitarie, ha causato un “vulnus” già solo tenendo il centralino occupato».
L’avvocato Serena Mariano, difensore dell’imputato, ha invece ritenuto non provata sia la fattispecie del procurato allarme, sia quella del rifiuto di fornire le generalità: «Nel primo caso c’è stato comunque un intervento relativo a un litigio, sul secondo intervento non c’è stato, di fatto, nessun allarme». Quanto alla questione dei documenti, non era in dubbio la sua identificazione: «Per stessa ammissione del brigadiere, l’imputato era comunque noto all’ufficio». Il giudice Giovanni Mocci ha accolto le ragioni della difesa, assolvendo il monregalese per insussistenza del fatto.