150 anni fa nasceva Luigi Einaudi, Carrù diventa “Città presidenziale”

La consegna della targa nel ricordo del concittadino più illustre domenica mattina in Municipio.

Luigi Einaudi a Carrù in visita nel 1948

Carrù diventerà “città presidenziale”. Il giorno simbolo è quello del 24 marzo, quando 150 anni fa venne alla luce il piccolo Luigi, figlio di Lorenzo Einaudi (concessionario della riscossione delle imposte) e Placida Fracchia in quella casa al civico 18 sul corso che ora porta il suo nome. Domenica mattina, alle 11, presso la sala consigliare del Municipio, Carrù riceverà la prestigiosa targa, promossa dall’Ente Stati Generali del Patrimonio Italiano, del presidente Ivan Drogo Inglese, con il patrocinio di Anci, dalla Fondazione Sandro Pertini, dalla Fondazione Luigi Einaudi. Al sindaco di Carrù Nicola Schellino il riconoscimento sarà consegnato dal collega di Stella (paese natale di Pertini) Andrea Castellini. La cerimonia, a parti inverse, era avvenuta un mese fa nel paese dell’entroterra savonese. Sarà presente, in rappresentanza del Comune di Torino (prossima "città presidenziale" in quanto luogo natio di Saragat), l'assessore Gianna Pentenero, il nome scelto dal centrosinistra come sfidante di Alberto Cirio nella corsa alla presidenza della Regione Piemonte.

L’iniziativa permette così di inserire il Comune all’interno dell’itinerario culturale, storico e turistico del luoghi dove sono nati e hanno vissuto i presidenti della Repubblica italiana. «È doveroso da parte nostra creare un momento di commemorazione in onore di una figura imprescindibile per la costruzione della Repubblica italiana. Il giorno successivo, il 25 marzo, assieme al sindaco di Dogliani Ugo Arnulfo, saremo poi ospiti al Quirinale dal presidente Mattarella proprio nel ricordo di Einaudi», racconta il sindaco Nicola Schellino. Una maniera per superare il “provincialismo” che vede contrapposti Carrù e Dogliani a contendersi la paternità del primo presidente eletto della nostra storia repubblicana.

Il primo Capo dello Stato eletto per la neonata Repubblica, dal 1948 al 1955, esemplare per saggezza, competenza e scrupolo

di Ernesto Billò - In pochi mesi l’Italia del 1948 ebbe la sua Costituzione Repubblicana, il suo primo vero Parlamento e il suo primo Presidente eletto della Repubblica: Luigi Einaudi, eminente economista con radici in terra langhese. Dopo la presidenza provvisoria di Enrico De Nicola e in alternativa al nome del conte Carlo Sforza, la candidatura di Einaudi spuntò quell’11 maggio. Quando glie la prospettarono, lì per lì aveva obiettato: “Claudicante come sono e bisognoso di appoggiarmi con la destra al bastone, come farei a salutare la bandiera e a stringere mani nelle cerimonie?”. Poi però si era detto disponibile. Le Sinistre gli avevano contrapposto senza troppa convinzione il nome di Vittorio Emanuele Orlando, ma già al quarto scrutinio Einaudi risultò eletto con 518 voti contro 320. Per il professore fu il coronamento di un itinerario umano, scientifico e politico.

Con sobrietà tutta piemontese, i doglianesi, i carrucesi, i monregalesi si compiacquero di quella elezione, e la Langa, sentendosi accomunata nelle lodi delle virtù contadine incarnate dal Presidente, assaporò di riflesso una notorietà mai più venuta meno. L’intera provincia cuneese si sentì orgogliosa d’aver originato due statisti insigni, entrambi discesi dalla Valle Maira: Giovanni Giolitti, passato alla storia come l’Uomo di Dronero pur essendo nato a Mondovì nel 1842, e appunto Luigi Einaudi, figlio di un esattore proveniente da una valle dove, a suo dire, “si contavano più Einaudi che sassi, e dove tutti erano pastori, boscaioli o acciugai”.

Luigi Einaudi era però nato nel 1874 a Carrù e vi aveva frequentato le Elementari, allievo del maestro Giuseppe Vacchetti, padre dei tre pittori Pippo, Emilio e Sandro. Aveva poi proseguito gli studi a Dogliani, a Savona e a Torino, dove nel 1895 si era laureato in Giurisprudenza e aveva fornito le prime prove di studioso e di pubblicista. Aveva insegnato Scienza delle Finanze a Torino e alla “Bocconi” di Milano, poi Legislazione Industriale al Politecnico. Nell’inquieto1919 era divenuto Senatore e collaboratore de “La Stampa”, del “Corriere della Sera”, di “The Economist”, e si era battuto per la moralizzazione della vita parlamentare, l’indipendenza della magistratura, la perequazione tributaria tra regioni e gruppi sociali, contro il privilegio e contro il protezionismo agrario e industriale.
All’irrompere del fascismo aveva denunciato la degenerazione del costume politico, la corruzione, le insidie alle libertà individuali da parte di uno Stato accentratore: posizioni coraggiose che nel 1926 gli erano costate l’espulsione dalla cattedra universitaria per mano fascista; ma aveva continuato a insistere dalla rivista “Riforma Sociale” (sospesa nel 1935), e poi dalla “Rivista di Storia Economica” fino al 1943.

Durante l’ultima guerra aveva riparato in Svizzera perché ricercato dai nazisti; però nel gennaio 1945 su un aereo alleato era tornato in Roma liberata, mentre anche il Nord era ormai prossimo alla lotta decisiva. Ed era stato indicato dal ministro cuneese Marcello Soleri come Governatore della Banca d’Italia. Membro della Consulta, era poi stato eletto nel 1946 all’Assemblea Costituente nelle liste dell’Unione Democratica Italiana e, benché monarchico di principi, aveva attivamente contribuito alla redazione della Costituzione Repubblicana.

Nel ‘47 De Gasperi lo aveva voluto alla vicepresidenza del Consiglio e ministro del Bilancio. E in quel ruolo aveva impostato una linea di restrizione del credito bancario e di risanamento del deficit per frenare l’inflazione e stabilizzare il potere d’acquisto della lira. Ma aveva intanto continuato a fornire ai giornali articoli esemplari per concetti e per chiarezza (poi raccolti in volumi dai titoli: “Il Buongoverno”, 1954; “Prediche inutili”, 1956-59; “Lo scrittoio del Presidente”).

Per correttezza, appena eletto, nel suo primo messaggio pronunciato con bell’accento nostrano rivelò d’aver votato per la monarchia al referendum del ‘46; ma assicurò che si sarebbe impegnato a dare qualcosa di più che una semplice adesione alla Repubblica voluta dal popolo. E fu di parola, saggio e autorevole com’era..
Esemplare per competenza, rigore e sobrietà, fu sollecito degli interessi del Paese, rispettoso del Parlamento; combatté le leggi senza copertura, gli sprechi, le irregolarità. Si adoperò a frenare l’inflazione e a stabilizzare il potere d’acquisto della lira. Liberista in economia, liberale in politica, fu europeista “ante litteram”, sostenitore fin da allora di una comunità economica e di una federazione europea volte al futuro. Sulla sua formazione e sulla sua condotta concorsero l’amore per la terra, lo scrupolo per le cose fatte bene, per la buona amministrazione rispettosa dei doveri e delle responsabilità.

Se non fu un personaggio a cavallo, fu però un Presidente autorevole, saggio, di ferma discrezione e moderazione. “A veul metà del mé pruss?” raccontavano avesse chiesto al vicino di tavola ad un banchetto ufficiale. E dissero anche di lui: “Non si curava di essere alla moda, ma di essere nel giusto”.
Poi, scaduto nel 1955 il mandato settennale, Einaudi sedette in Senato come membro a vita. E più volte tornò nella sua terra amata, fra la sua gente. Mancò a Roma il 30 ottobre 1961; e tornò a Dogliani un’ultima volta, a riposare sotto le guglie del cimitero progettato dallo Schellino.

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