Casa di accoglienza migranti, il Tar contro il Comune di Carrù: «Lo stabile non è abusivo»

Lo stesso Comune dovrà pagare 5mila euro: alla base una vecchia autorizzazione chiesta dalla proprietaria nel 2017 per la demolizione del fabbricato e la costruzione di nuovi alloggi

È stato accolto dal Tar del Piemonte il ricorso proposto dalla proprietaria dello stabile di viale Vittorio Veneto contro il Comune di Carrù per l’annullamento di alcuni provvedimenti risalenti al 2017, sotto la precedente Amministrazione comunale. La Sezione II del Tribunale amministrativo di Torino ha condannato lo stesso Comune al pagamento dell’importo complessivo di 5.027,36 euro (di cui 3.450 euro per competenze legali e spese forfettarie, 927 euro per oneri di legge e 650 euro per rifusione contributo unificato) secondo la sentenza del 29 gennaio scorso. Ma cosa riguarda questo procedimento?

Facciamo un passo indietro. La signora aveva presentato un’istanza al Comune per l’approvazione di un piano di recupero dello stabile di sua proprietà in viale Vittorio Veneto (dove attualmente ha sede il centro di accoglienza per migranti) da eseguirsi mediante la demolizione e ricostruzione del fabbricato, per la costruzione di 42 nuovi appartamenti, senza modificare la volumetria preesistente.

Il Comune aveva invece comunicato l’avvio del procedimento per l’applicazione delle sanzioni conseguenti ad abusi edilizi, reputando che il fabbricato in questione fosse stato costruito in assenza di titolo abilitativo. Qui sta l’oggetto del contendere. Secondo il Comune, il titolo abilitativo non era presente negli archivi e, conseguentemente, «le ricerche effettuate porterebbero alla conclusione che la Licenza edilizia non sia stata rilasciata». Secondo la ricorrente, il fabbricato è stato costruito in virtù di una licenza rilasciata in esito alla richiesta numero 116 del 1967 (non prodotta in giudizio da nessuna delle parti) e «l’Amministrazione si è limitata a rilevare “l’irreperibilità del titolo concessorio, senza svolgere un’idonea istruttoria”».

Il Collegio giudicante ha dato ragione a quest’ultima sottolineando come la signora «pur non avendo prodotto alcun titolo, ha indicato e fornito, una serie di elementi presuntivi dell’esistenza di un titolo», tra cui la «domanda di licenza per opere edilizie», un’«autorizzazione di abitabilità» del sindaco risalente al 1993 e «una licenza successiva al 1968 per l’ampliamento del capannone già esistente». Da capire ora se effettivamente questo grande piano di recupero, considerando che lo stabile è attualmente utilizzato dal centro di accoglienza per altri fini, verrà portato avanti o meno.

Non è comunque la prima volta che la questione dello stabile di viale Vittorio Veneto di Carrù approda al Tar. Nell’agosto del 2017 il Tribunale amministrativo aveva già dato ragione alla proprietaria dell’immobile dopo che la stessa aveva impugnato l’ordinanza di non agibilità del compendio immobiliare emanata dal Comune pochi mesi prima che la casa accogliesse poi effettivamente il primo gruppo di richiedenti asilo.

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